Guida ai Bonus Immobili 2021: il Superbonus 110%
Se state pensando di ristrutturare la vostra casa il 2021 è l'anno giusto. Grazie alle generose detrazioni previste dai vari bonus sarà molto conveniente rendere gli immobili più efficienti, soprattutto dal punto di vista energetico e dei consumi. Gli sgravi fiscali a disposizione degli italiani sono tanti, a partire dall’ ormai noto Superbonus 110%, il Bonus Ristrutturazione, tra i più apprezzati ed utilizzati dai cittadini italiani, il Bonus Facciate ed ancora i meno noti Bonus Idrico e Bonus Verde, dunque abbiamo pensato di dedicare all’ argomento questo ed i prossimi articoli su questo blog, con l’ intento di offrire un pratico aiuto con delle guide di facile consultazione, che fanno un po’ di ordine fra tutte le agevolazioni di cui potrete approfittare nel corso dell’anno. Un articolo di questa serie sarà dedicato all’ Avviso Pubblico Titolo II Capo 3, misura tramite cui la Regione Puglia intende favorire l’ accesso al credito delle piccole e medie imprese.
Precisiamo che la Guida ai Bonus Immobili 2021 del Blog Mariano - Immobili nel Salento è un primo strumento per orientarsi tra le disposizioni in vigore e che ovviamente non può sostituire una consulenza professionale e personalizzata. Siamo lieti di offrirvi un orientamento iniziale, che non può però prescindere dal successivo coinvolgimento dei professionisti tecnici del settore.
Partiamo dal Superbonus 110%.
Il Superbonus 110% è una misura di incentivazione introdotta dal D.L. “Rilancio” 19 maggio 2020, n. 34, che punta a rendere le abitazioni più efficienti dal punto di vista energetico. Il meccanismo prevede che gli interventi possano essere svolti anche a costo zero. L’incentivo consiste in una detrazione del 110% che si applica sulle spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2022, da ripartire tra gli aventi diritto in cinque quote annuali, per la parte di spesa sostenuta nell'anno 2022 in quattro quote annuali di pari importo. Per i condomini, il limite temporale è esteso fino al 31 dicembre 2022, ma solo nel caso in cui siano stati completati almeno il 60% dei lavori al 30 giugno 2022.
Per usufruire della misura in questione è necessario effettuare almeno due interventi cosiddetti “trainanti”. Gli interventi trainanti sono l’isolamento termico dell’involucro dell’edificio, plurifamiliare o unifamiliare, la sostituzione degli impianti termici con impianti centralizzati, la sostituzione degli impianti termici su edifici unifamiliari o sulle unità immobiliari site all’interno di edifici plurifamiliari che siano funzionalmente indipendenti e dispongano di uno o più accessi autonomi dall’esterno. Una volta eseguiti almeno due degli interventi “trainanti”, il beneficiario può effettuare anche altri interventi, cosiddetti “trainati”, come la sostituzione degli infissi, le schermature solari, l’installazione di impianti fotovoltaici, dei sistemi di accumulo, delle colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici, degli impianti di domotica, l’eliminazione delle barriere architettoniche per le persone portatrici di handicap in situazione di gravità e per le persone con età superiore ai 65 anni, e molto altro ancora. L’insieme di questi interventi (trainanti e trainati) deve comportare un miglioramento minimo di almeno due classi energetiche dell’edificio o dell’unità immobiliare sita all’interno di edifici plurifamiliari che sia funzionalmente indipendente e disponga di uno o più accessi autonomi dall’esterno. Le persone fisiche possono svolgere i lavori su un massimo di due unità abitative, salvo gli interventi sulle parti comuni che sono sempre agevolabili, a prescindere dal numero di unità possedute. Per usufruire della misura ovviamente bisogna garantire la legittimità sia urbanistica che catastale dell’ immobile, in caso di presenza di un qualsiasi abuso, questo va sanato oppure, se ciò fosse impossibile, demolito, prima a di accedere al bonus.
L’ asseverazione del tecnico incaricato di seguire i lavori è il documento principale con cui viene documentato e certificato il diritto ad ottenere il superbonus, questa viene rilasciata al termine dei lavori o per ogni stato di avanzamento dei lavori pari almeno al 30% del valore complessivo del preventivo dei lavori da effettuare. L’asseverazione deve esser predisposta online dal tecnico sul sito di ENEA tramite la modulistica ufficiale emanata dal MISE ed in un secondo momento Enea potrà anche effettuare controlli a campione sulla correttezza delle asseverazioni caricate sul portale.
A questo punto il beneficiario può decidere di esercitare l’opzione dello sconto in fattura: l’impresa o le imprese che hanno effettuato i lavori applicano uno sconto fino al 100% del valore della fattura e il cittadino effettua così i lavori senza alcun esborso monetario. L’impresa si vedrà riconosciuto un credito d’imposta pari al 110% dell’ammontare dello sconto applicato, da utilizzare sempre in cinque quote annuali di pari importo (o in quattro per le spese sostenute nel 2022), altrimenti il cittadino può sostenere in prima persona il costo dei lavori e decidere poi se utilizzare la detrazione in compensazione per pagare meno tasse o cedere il credito d’imposta a terzi (istituti di credito compresi).
L’ obiettivo finale del provvedimento in questione è quello di agevolare un meccanismo virtuoso di mercato che offra benefici a tutti i soggetti coinvolti: il cittadino può ristrutturare casa gratuitamente, ridurre il costo delle bollette e valorizzare il proprio patrimonio immobiliare; l’impresa può aumentare il proprio fatturato grazie al maggior volume di lavori; lo Stato può rendere più efficienti e più sicure le abitazioni e sostenere l’aumento dell’occupazione e del reddito.
I migliori percorsi nel Salento: trekking, passeggiate, bici, moto o altro Itinerari per il trekking
Il recente successo del Salento come meta turistica si deve principalmente allo splendore della sua costa ed alla bellezza del capoluogo Lecce, ma c’ è tanto altro da scoprire: tesori archeologici, naturalistici, paesaggistici ed enogastronomici sono diffusi capillarmente in tutta la penisola salentina. Un ottimo modo per scoprirli tutti è quello di mettersi lo zaino in spalla e partire all’ avventura, lungo itinerari da percorrere a piedi, in bici, in moto o in auto, che sono un percorso a tappe tra i piaceri della natura, del cibo, della cultura e della storia locale. Vediamone alcuni in questo e nei prossimi post sul nostro blog.
In un precedente articolo su questo blog avevamo già analizzato nel dettaglio il percorso Otranto – Santa Maria di Leuca, da percorrere in macchina facendo numerose soste per godere degli splendidi paesaggi, degli ottimi cibi e di tutto il patrimonio culturale di cui si può godere in Salento. Oggi vedremo cosa possono fare in zona gli appassionati di trekking.
Fare trekking nel Salento infatti è possibile e i percorsi da fare sono tanti ed interessanti sia dal punto di vista paesaggistico che da quello culturale, ovviamente non parliamo di pendenze o dislivelli a cui sono abituati gli appassionati di trekking che frequentano la montagna, ma parliamo di percorsi e camminate capaci di durare giornate intere e che permettono di unire la passione per l’ attività fisica con la possibilità di trascorrere anche qualche ora in spiaggia.
Il primo itinerario che consigliamo è quello di Porto Selvaggio: partiamo da Santa Caterina con una suggestiva salita fino a Torre dell'Alto, con la prima sosta alla grotta di Capelvenere; arrivati alla torre procediamo scendendo lungo le scalette in pietra che attraversano la pineta, fino a giungere alla piccola baia di Porto Selvaggio, qui è inevitabile un’ altra sosta per fare un bagno nelle acque cristalline della baia, prima di procedere ancora lungo la scogliera, fino a giungere nei pressi della grotta del Cavallo e la Baia di Uluzzo con la sua torre. Il percorso è lungo intorno ai 7 chilometri e non è troppo difficile, quindi se avete ancora energie sufficienti potete proseguire con una visita al comune di Nardò oppure con un suggestivo aperitivo al tramonto in uno de numerosi locali della zona.
La seconda proposta è un percorso di trekking lungo circa 13 chilometri, che inizia dal Porto di Otranto per giungere a Punta Palascia e da qui fare ritorno passando per la cava di bauxite dismessa.
Dal Porto di Otranto troviamo subito dei sentieri costieri, facilmente percorribili, da cui saremo subito in vista della Torre del Serpe, che raggiungiamo dopo una breve salita. Aggiriamo la torre e seguiamo il percorso verso la Baia dell’ Orte. Arriviamo nel cuore della baia, dove la costa degrada nel suo punto più basso e la natura si presenta ancora selvaggia e incontaminata. Godendo del contrasto tra le rocce nude e le macchie vegetative proseguiamo verso Punta Palascia. Da questo punto e fino all’arrivo al faro di punta Palascia il paesaggio toglie il fiato e nelle giornate limpide con vento da Nord si possono ammirare le montagne dell’Albania. Una volta al faro siamo geograficamente nel punto più ad Oriente d’Italia. Il luogo è anche conosciuto come Capo d’Otranto. Il vecchio faro, eretto nel 1897, recentemente è stato ristrutturato ed è diventato una meta ambita per turisti. Da qui si può infatti godere di un panorama spettacolare, con il faro che spicca in mezzo alle rocce e sovrasta l’infinita distesa cristallina del mare, nel punto in cui si incontrano mar Ionio e mar Adriatico. Una volta raggiunto il faro, per tornare a Otranto, si può raggiungere la strada provinciale che unisce Otranto a Santa Cesarea Terme. Percorriamo un sentiero a lato della strada e ritornando verso Otranto ci fermiamo presso la bellissima ex cava di bauxite.
Proseguendo ancora in direzione Nord giungiamo ad un incrocio con la strada SP358. Attraversiamo l’incrocio e percorriamo una stradina in discesa che in breve raggiunge la periferia di Otranto, Santa Maria dei Martiri. Proseguiamo scendendo fino ad un ponte in pietra da cui a destra si raggiunge la piccola cappella di Santa Maria del Passo, nei pressi del porto, dove termina il nostro percorso.
La terza escursione che consigliamo vi porterà alla scoperta dei Laghi Alimini e della Baia dei Turchi. L’itinerario si svolge tra le stradine e i sentieri dei Laghi Alimini, un sito naturale di alto interesse naturalistico per il territorio pugliese. I due laghi fungono da grande oasi per tantissime specie vegetali e animali. Il percorso ad anello prosegue verso la leggendaria Baia dei Turchi, dove secondo la tradizione gli ottomani sbarcarono per assediare la città di Otranto nel XV secolo. Questo percorso è lungo intorno ai 10 km, ma a differenza degli altri due non presenta alcuna pendenza, neppure minima, è perciò molto più rilassante e vi consigliamo di integrarlo con una visita ai numerosi agriturismi della zona, oppure con una passeggiata a cavallo nelle campagne circostanti o ancora, se la stagione lo consente, con un bagno in una delle numerose splendide cale che s’ incontrano in tutta la spiaggia adiacente ai due laghi.
Escursioni un po’ più brevi, meno sportive e più rilassanti, si possono eseguire nell’ entroterra, come ad esempio visitando il Parco Naturale La Mandra di Calimera. Ai bordi della strada che costeggia il parco si può ammirare uno splendido ed enorme esemplare di carrubo, la pineta che si estende per 90.000 mq è interamente visitabile ed all'interno sono stati realizzati dei percorsi e delle aree pic-nic con tavoli e panche. Dalle parti di Tricase invece si può visitare il locale bosco ed ammirare la celebre Quercia Vallonea, un magnifico esemplare di quercia che ha certamente più di 800 anni.
I migliori percorsi nel Salento: trekking, passeggiate, bici, moto o altro Primo itinerario: litoranea Otranto – Santa Maria di Leuca
Il recente successo del Salento come meta turistica si deve principalmente allo splendore della sua costa ed alla bellezza del capoluogo Lecce, ma c’ è tanto altro da scoprire: tesori archeologici, naturalistici, paesaggistici ed enogastronomici sono diffusi capillarmente in tutta la penisola salentina. Un ottimo modo per scoprirli tutti è quello di mettersi lo zaino in spalla e partire all’ avventura, lungo itinerari, da percorrere a piedi, in bici, in moto o in auto, che sono un percorso a tappe tra i piaceri della natura, del cibo, della cultura e della storia locale, vediamone alcuni in questo e nei prossimi post sul nostro blog.
Iniziamo il nostro viaggio in auto o in moto, sulla magnifica litoranea Otranto – Santa Maria di Leuca, senza dubbio uno dei più affascinanti tour del Salento, nonché una delle strade panoramiche più belle d'Italia. Mentre si costeggia l'Adriatico i gioielli della costa salentina si succedono uno dietro l'altro: da una parte le falesie a picco sul mare, le antiche torri di difesa, le grotte e le insenature, dall’ altra parte gli olivi secolari, i tipici muretti di pietra a secco, tanti piccoli municipi ricchi di storia e bellezze artistiche, con i loro bar affacciati sui centri storici, in cui fermarsi per rinfrescarsi con un pasticciotto ed un caffè in ghiaccio.
Si parte da Otranto, dopo aver visitato il centro cittadino e passeggiato sui bastioni, si prosegue verso Sud ed inoltrandosi nella vegetazione si può ammirare uno spettacolo inconsueto: un laghetto verde smeraldo in una cavità del terreno rosso intenso, circondato dal verde della vegetazione palustre, il risultato di una cava di bauxite dismessa in cui la natura ha creato magicamente un nuovo ecosistema. Pochi chilometri e ci attende un altro spettacolo, il Faro di Punta Palascia, il luogo più ad Est di tutta Italia, da cui si può ammirare un panorama da togliere il fiato. Continuando a guidare tenendoci sempre il mare sulla sinistra, continuiamo ad ammirare gli scorci sempre nuovi che la scogliera e la vegetazione creano ad ogni curva. Pochi chilometri ancora ed arriviamo a Porto Badisco, dove possiamo ammirare la baia (uno dei possibili primi approdi di Enea in Italia) e, se la stagione lo permette, concederci un imperdibile pranzo a base dei freschissimi ricci di mare. Dopo questa gustosa pausa pranzo si riparte, attraversiamo la graziosa Santa Cesarea Terme, che come suggerisce il nome, è anche un rinomato centro termale. Subito a ridosso di Santa Cesarea, troviamo la bellezza di Porto Miggiano, una caletta rocciosa con fondale sabbioso, posizionata in un'insenatura a picco sul mare, protetta da un’ antica torre di avvistamento, si tratta di una tra le più spettacolari spiagge della Puglia, riparata dai venti; il gioco naturale delle luci, dei colori e il mare turchese, la rendono il luogo ideale per fare snorkeling. Seguiamo ancora la strada e troviamo la suggestiva grotta Zinzulusa, creata in epoche preistoriche dall'erosione marina, è uno spettacolo di stalattiti e stalagmiti che si specchiano nell'acqua turchese all'interno di una maestosa cavità. Continuiamo attraversando Castro e da qui raggiungiamo la marina di Marittima, dove è presente un’altra bellissima insenatura, quella dell’ Acquaviva, così chiamata per via delle sorgenti di acqua fredda che sgorgano dalla roccia. Subito dopo c’è la marina di Andrano, con le imperdibili località balneari, quali la Grotta Verde, dopo ancora c’è la splendida Tricase Porto, luogo di villeggiatura fra i più suggestivi ed eleganti di tutta la costiera orientale pugliese.
Qui possiamo scegliere se continuare a costeggiare il mare o se concederci una deviazione verso l’ interno del territorio, dove ci sono tanti comuni che sicuramente vale la pena di visitare, come ad esempio Specchia, immersa tra gli ulivi secolari, e recentemente inserita fra i borghi più belli d'Italia. Tra graziose viuzze e scalinate spiccano il cinquecentesco palazzo Risolo e la cattedrale del XV secolo in Piazza del Popolo; poco distanti il Palazzo Baronale, la Chiesa Bizantina di Santa Eufemia e quella dei Francescani Neri, ornata da pregevoli affreschi. Vale la pena concedersi anche una visita agli antichi frantoi ipogei del paese, restaurati e aperti al pubblico, dove spesso e volentieri si possono anche fare meritevoli degustazioni di prodotti locali.
Se invece abbiamo scelto di continuare lungo la costa, da Marina Serra partono gli ultimi chilometri di litoranea, fino alla fine della terra, nel mezzo il ponte del Ciolo, che domina un’insenatura fra le più amate e fotografate di tutta la costa salentina.
Il tempo di un ultimo sguardo all'incantevole costa del Salento e siamo arrivati a Santa Maria di Leuca: di fronte a noi non resta che il blu del mare.
Visitiamo il Santuario sul promontorio, l'altissimo faro, la cascata dell'acquedotto e le ville in stile eclettico, costruite dai nobili locali in una gara di lusso ed eccentricità. Il tempo di cenare e possiamo goderci la nottata sul movimentato lungomare.
Il barocco leccese: gli uomini ed i monumenti
In un precedente articolo su questo blog abbiamo già analizzato le origini storiche del barocco leccese, elencando alcuni eventi e circostanze che ne favorirono la nascita e lo sviluppo, dalla presenza spagnola nel Regno di Napoli alla fine della minaccia portata dall’ Impero Ottomano fino al Concilio di Trento ed alla vasta disponibilità della pregiata pietra leccese; ognuna di queste circostanze ha avuto un peso significativo nello sviluppo delle architetture che hanno ridefinito il panorama della città leccese dalla metà del Cinquecento a quella del Settecento, ma accanto alle circostanze favorevoli ed agli eventi storici, il barocco leccese deve la sua fortuna anche alla visione, alla perseveranza ed all’ impegno di alcuni personaggi storici del capoluogo salentino, quali il vescovo Luigi Pappacoda o gli architetti Giuseppe Zimbalo e Giuseppe Cino.
Luigi Pappacoda nel Giugno del 1639 fu chiamato a reggere la diocesi di Lecce e ne rimase vescovo fino alla sua morte, avvenuta nel 1670. Tenne due sinodi diocesani nella città nel 1647 e nel 1663 e nel 1658 approvò l'elezione dei santi Oronzo, Fortunato e Giusto a patroni di Lecce, restaurandone l’ antico culto. Nel 1659 pose la prima pietra per la costruzione della nuova cattedrale e commissionò numerose altre opere all'architetto e scultore Giuseppe Zimbalo. Alla sua morte fu sepolto nel Duomo di Lecce, nel sepolcro presso l'altare di S. Oronzo.
Come abbiamo visto alla figura del vescovo Luigi Pappacoda è legata quella dello scultore ed architetto Giuseppe Zimbalo, detto “lo Zingarello” (il soprannome altro non è se non l'italianizzazione del termine dialettale "Zimbarieddhu" ovvero il piccolo Zimbalo, probabilmente per distinguerlo dal padre Sigismondo, anch’ egli artista della pietra) fu l' architetto più famoso e imitato del barocco leccese. Nel capoluogo salentino l' artista realizzò la facciata inferiore del Convento dei Celestini, il Duomo, la colonna di Sant' Oronzo e la Chiesa del Rosario.
Per quanto riguarda l’ architetto e scultore Giuseppe Cino, egli lavorò nel capoluogo salentino a partire dalla metà del Seicento, continuando la ricerca stilistica di Giuseppe Zimbalo, di cui ad esempio terminò l’ edificazione del Palazzo dei Celestini. Al Cino si devono anche la costruzione della splendida Chiesa di Santa Chiara, la Chiesa delle Alcantarine e la chiesa del Carmine, sulle quali lavorò fino alla sua morte. Progettò anche il Seminario su commissione di Antonio Pignatelli, all'epoca nuovo vescovo di Lecce.
La Basilica di Santa Croce, insieme all'attiguo ex Convento dei Celestini, costituisce la più elevata manifestazione del barocco leccese. Nell' area dell'attuale basilica era già stato costruito, nel XIV secolo, un monastero, ma fu solo dopo la metà del XVI secolo che si decise di trasformare l' area in una zona interamente monumentale e per avere lo spazio necessario furono requisite tutte le proprietà degli ebrei del luogo, cacciati dalla città nell’ anno 1510. I lavori per la costruzione della basilica si prolungarono per oltre due secoli e videro coinvolti i più importanti architetti leccesi del tempo. La prima fase della costruzione durò dal 1549 al 1582 e vide la costruzione della zona inferiore della facciata, mentre la cupola venne completata nel 1590. La successiva fase dei lavori, a partire dal 1606, durante la quale vennero aggiunti alla facciata i tre portali decorati, è marcata dall'impegno di Francesco Antonio Zimbalo, poi al completamento definitivo dell'opera lavorarono successivamente Cesare Penna e Giuseppe Zimbalo.
Molto simile è la storia del Duomo: una prima cattedrale della Diocesi di Lecce infatti venne costruita nel 1144 dal vescovo Formoso; nel 1230, per volere del vescovo Roberto Voltorico, la cattedrale venne rinnovata e ricostruita in stile romanico. Successivamente, nel 1659, il vescovo Luigi Pappacoda diede a Giuseppe Zimbalo il compito di ricostruire la chiesa in stile barocco. La costruzione finì nel 1670. Il Campanile del Duomo venne costruito tra il 1661 e il 1682, sempre da Giuseppe Zimbalo; venne edificato in sostituzione di quello normanno, voluto da Goffredo d' Altavilla, crollato agli inizi del Seicento, ed ha un'altezza di 70 metri; dalla sua sommità è possibile ammirare il mare Adriatico e nei giorni particolarmente limpidi anche le montagne dell' Albania.
Sempre nella Piazza del Duomo si affaccia il Palazzo del Seminario costruito dall’ architetto Giuseppe Cino tra il 1694 e il 1709, su commissione del vescovo Michele Pignatelli. Nell'atrio si può ammirare un pozzo decorato, sempre opera del Cino, mentre all'interno del palazzo è presente una cappella del 1696. Al primo piano del palazzo troviamo anche il "Museo diocesano" e la "Biblioteca Innocenziana", così chiamata dal nome assunto dal Papa Innocenzo XII, che era stato vescovo della città. La biblioteca contiene oltre diecimila volumi, anche di epoca quattrocentesca e cinquecentesca.
La Chiesa di Santa Chiara si trova nel centro storico di Lecce, in piazza Vittorio Emanuele II. La sua prima fondazione, voluta dal vescovo Tommaso Ammirato, risale al 1429; venne in seguito quasi completamente ristrutturata tra il 1687 e il 1691. La realizzazione della chiesa, rimasta priva del fastigio superiore, è anch’ essa opera dell'architetto Giuseppe Cino.
La Chiesa di Sant' Irene dei Teatini si trova nel centro storico di Lecce ed è intitolata a Sant' Irene da Lecce, protettrice della città fino al 1656. Fu edificata a partire dal 1591 su progetto del teatino Francesco Grimaldi e fu ultimata nel 1639, anno della consacrazione ad opera del vescovo di Brindisi. La Chiesa di Sant’ Irene è stata anche al centro di importanti vicende storiche non religiose: nel 1797 venne visitata da re Ferdinando IV di Napoli, mentre nell'ottobre del 1860 ospitò le operazioni di plebiscito per decidere il sì di Lecce ad entrare nel Regno d'Italia. Nel 1866 l'annesso Convento dei Teatini venne soppresso, ma la chiesa rimase comunque aperta al culto.
Vi sono ovviamente tanti esempi dello stile barocco leccese anche in altri comuni della penisola salentina, come ad esempio il Duomo di Gallipoli o la Chiesa Madre di Casarano.
Il barocco leccese: storia ed origini
Lecce
Biancamente dorato
è il cielo dove
sui cornicioni corrono
angeli dalle dolci mammelle,
guerrieri saraceni e asini dotti
con le ricche gorgiere.
Un frenetico gioco
dell'anima che ha paura
del tempo,
moltiplica figure,
si difende
da un cielo troppo chiaro.
Un’aria d’oro
mite e senza fretta
s’intrattiene in quel regno
d’ingranaggi inservibili fra cui
il seme della noia
schiude i suoi fiori arcignamente arguti
e come per scommessa
un carnevale di pietra
simula in mille guise l'infinito.
(da Dopo la luna, 1956)
Vittorio Bodini è stato un affermato poeta e traduttore pugliese, nacque a Bari ma trascorse la sua infanzia nel capoluogo salentino, tradusse in italiano diversi scrittori spagnoli fra cui Federico Garcia Lorca e Miguel de Cervantes. Nella sua poesia “Lecce” troviamo una splendida ed emozionante descrizione del barocco leccese e partiamo proprio da qui per parlare di questo stile architettonico che in due secoli, tra il il 1550 ed il 1730, cambiò per sempre il volto della città e la rese il gioiello che è oggi, capace di attirare visitatori ormai da tutto il mondo.
Partiamo dalle parole di un affermato traduttore di opere spagnole per una ragione precisa, il legame tra la Spagna e l’ Italia non è casuale se parliamo del barocco leccese, questo stile infatti è molto influenzato dal plateresco spagnolo, uno stile artistico, fiorito in Spagna nel XV e nel XVI secolo, caratterizzato da molti ornamenti e composto partendo dall’ imitazione dei lavori di argenteria (in spagnolo “plata”), da cui appunto proviene il nome di plateresco. Pochi decenni dopo la presenza spagnola nel Regno di Napoli contribuisce in maniera decisiva allo sdoganamento di questo gusto per i dettagli e le decorazioni e quindi alla nascita del barocco leccese. Ci sono anche altre ragioni storiche alla base di questa primavera barocca nel Tacco d’ Italia, come ad esempio l’ esito della Battaglia di Lepanto del 1571, che indebolisce notevolmente le armate dell’ Impero Ottomano, rendendo il Sud dell’ Italia meno esposto alle scorribande dei pirati ed alle invasioni del nemico. Infine la Controriforma, ovvero un’ insieme di misure di rinnovamento spirituale, teologico e liturgico con le quali la Chiesa cattolica riformò le proprie istituzioni dopo il Concilio di Trento. A seguito di questi provvedimenti furono molte le chiese riadattate a livello architettonico per essere più funzionali alle nuove liturgie post-tridentine, molti edifici di costruzione medievale furono "rinnovati", mediante abbellimenti con stucchi, marmi e decorazioni varie, che fecero assumere a queste l'aspetto di chiese barocche. Ma il barocco ebbe particolare fortuna in Salento anche grazie alla qualità della pietra locale impiegata: la pietra leccese, di cui abbiamo già parlato in questo blog, ovvero un calcare tenero e compatto dai toni caldi e dorati adatto alla lavorazione con lo scalpellino.
Il barocco leccese risulta subito riconoscibile anche agli spettatori meno esperti, per via delle sue sgargianti decorazioni che caratterizzano i rivestimenti degli edifici: esuberanze appunto barocche, motivi floreali, figure umane ed animali mitologici, fregi e stemmi. Tutta questa ricchezza di elementi decorativi agricoli e floreali è una metafora della "grazia di Dio" e della bellezza del creato. Tra i frutti più ricorrenti si incontrano la pigna, simbolo di fertilità e di abbondanza, la mela, simbolo della tentazione ma anche della redenzione, la melagrana, simbolo della Resurrezione, la vite, attributo del Cristo.
Questo nuovo stile che dapprima aveva interessato solo gli edifici sacri e nobili, si diffuse poi anche nell’ architettura civile e dunque i suoi i motivi floreali, le figure, gli animali mitologici, i fregi e gli stemmi trionfarono anche sulle facciate, sui balconi e sui portali degli edifici privati.
Fino ad allora Lecce era stata una città fortificata, quasi austera, raccolta attorno alla mole severa del Castello di Carlo V, ma in dopo meno di due secoli si trasformò notevolmente, diventando quel “… carnevale di pietra, che simula in mille guise l’ infinito” raccontata da Bodini nei suoi bellissimi versi. Nel prossimo articolo di questo blog vedremo di analizzare nel dettaglio ognuno degli edifici frutto di questa mirabile rivoluzione architettonica.
Le masserie nel Salento
In tutta l’ Europa mediterranea, come anche in molte zone del Nord e del Sud America ed anche altrove nel mondo, vi sono dei grandi fabbricati rurali, conosciuti con vari nomi: hacienda, ranch, fattoria, baglio, la masia catalana o appunto la masseria, tipica del Sud Italia, di cui ci occuperemo in questo articolo.
Questi edifici avevano delle caratteristiche comuni: grandi spazi, la presenza di cortili interni, molto spesso adibiti a frutteto ed anche utilizzati come aia per il pollame, stalle e grossi spazi adibiti alla conservazione o alla produzione di cibo. Ovviamente non potevano mancare pozzi e cisterne e spesso vi erano strumenti e tecnologie via via più avanzate, come ad esempio i frantoi che erano in dotazione di molti di questi edifici nel Sud Italia. Pozzi e frantoi poi erano spesso messi a disposizione anche degli abitanti estranei alla masseria, che perciò diventava il più importante centro d’ incontro e socialità di tutte le zone limitrofe.
Dal XIV secolo in poi, dopo le prime importazioni in Europa di tabacco e con la sempre maggiore diffusione dei vari usi di questa pianta, su tutto il continente accanto alle masserie si diffusero ovviamente anche i tabacchifici, generalmente più piccoli nelle dimensioni e più elementari nella struttura, ma anch’ essi sopravvissuti all’ industrializzazione della produzione di tabacco e rinati come pregiate unità abitative. A Castrignano del Capo ad esempio si può ammirare l’ Antico Tabacchificio locale, risalente al XIX secolo, dalla posizione invidiabile, a metà strada tra il centro abitato e la splendida località balneare de “le Felloniche”, e dall’ architettura elegante ed in piena armonia con la campagna circostante, chiaro esempio di antico centro di produzione agricola destinato a diventare unità abitativa di valore assoluto.
Il fatto che più o meno in tutto il mondo si possono trovare edifici di questo tipo è dovuto alla loro origine comune, cioè le grandi proprietà terriere, conosciute da noi come “latifondi”, che per molti secoli sono state l’ unico modello di produzione agricola in tutto il mondo. Il grande proprietario, che spesso viveva nei pochi centri abitati esistenti all’ epoca, lontano dalle coltivazioni, concedeva ai contadini (nel nostro caso detti “massari”) la possibilità di vivere in questi edifici, che fungevano da centro finale di produzione e conservazione dei prodotti agricoli. A volte invece il proprietario abitava la masseria insieme ai contadini ed in questo caso l’ architettura dell’ edificio rifletteva la differenza di status dei suoi abitanti, con la famiglia proprietaria che abitava nei piani elevati o negli edifici centrali ed i contadini relegati ai piani inferiori o nelle strutture periferiche.
Dove le vicende storiche ed i conflitti che si sono susseguiti lo richiedevano, le masserie venivano fortificate e diventavano anche baluardi contro l’ invasione straniera; in Salento ad esempio, dopo l’ invasione turca del 1480, Re Carlo V decise di rafforzare la difesa del territorio, predisponendo la costruzione o la ristrutturazione di edifici già esistenti, dotandoli di torrioni per l’ avvistamento dei nemici e recinzioni fortificate. Nella penisola salentina dunque ve ne sono diverse, la Masseria Torre Casciani, la Masseria Melcarne e la Masseria Torcito, circondata da una ricchissima vegetazione e molto amata dalla cittadinanza locale per la possibilità di farvi escursioni e scampagnate, solo per citarne alcune.
Una nota a parte meritano le masserie in qualche modo collegate alla Chiesa Romana o ad antiche famiglie nobiliari ad essa legate, che erano affidate e venivano gestite dagli ordini monastici o cavallereschi, in queste ovviamente era sempre presente una piccola Cappella per attendere le quotidiane funzioni religiose che scandivano la giornata. Presso il Comune di Surbo sopravvive al degrado la splendida Masseria Schiavelle, di cui si può ancora ammirare la severa architettura a metà tra il residenziale ed il complesso militare.
Il modello di produzione basato sul latifondo è stato l’ unico conosciuto in tutto il mondo fino quasi al XX secolo, quando una progressiva democratizzazione della produzione agricola e quindi anche della società che vi ruotava attorno, insieme all’ evoluzione della produzione, della conservazione e della commercializzazione dei prodotti agricoli, ha spezzato e diviso i latifondi rendendo le masserie e le altre architetture simili ad esse obsolete ed inutili per la produzione agricola su larga scala; da questo momento il destino di queste strutture è cambiato, in alcuni casi esse sono state condannate ad una lenta rovina, all’ abbandono o alla riconversione in anonimi capannoni, ma per fortuna molto più spesso esse sono diventate abitazioni, via via considerate sempre più lussuose, e via via sempre più apprezzate e richieste. La trasformazione è stata spesso agevole, in quanto le masserie già dalla loro origine furono realizzate tenendo conto di un certo gusto estetico ed architettonico, grazie alla maestria di artigiani e muratori che lavoravano la pietra, il carparo o il tufo. Si trattava molto spesso di edifici realizzati in un’ottica di funzionalità, per rendere meno dura la vita tra i campi e quindi per alleggerire la fatica dei coloni, offrire soluzioni pratiche e garantire la massima fruibilità degli ambienti, rispettando un certo equilibrio tra uomo e natura, tra il manufatto e il territorio, ma a queste esigenze di equilibrio e funzionalità il gusto estetico dei maestri dell’ epoca aggiungeva sempre qualcosa, come ad esempio della facciate la cui solennità può ricordare una Chiesa più che una comune abitazione. Molti esempi di tale preziosa architettura si possono osservare in giro per le campagne del Salento, vi segnaliamo ad esempio la Masseria Santa Barbara, che vi consigliamo di ammirare in occasione della vostra prossima visita presso la cittadina di Otranto.
L’ eredità dell’ eclettismo architettonico in Salento: i palazzi moreschi
In architettura viene definita “eclettismo” una corrente che mira alla mescolanza dei migliori stilemi presenti nei diversi movimenti architettonici. Il movimento nacque in Inghilterra nel 1700, poi nel secolo successivo si diffuse ampiamente nel resto d’ Europa, giungendo infine anche nel Sud Italia. Nella sua fase iniziale l’ eclettismo architettonico europeo attingeva le proprie idee da epoche storiche diverse, con la nascita quindi dell’ architettura neogreca, seguita da quella neorinascimentale e poi da quella neobarocca, ma con il passare degli anni gli interpreti dell’ eclettismo cercarono la loro ispirazione non altrove nel tempo ma nello spazio, nelle architetture di luoghi lontani ed esotici, ecco quindi l’ architettura neomoresca e quella neoegizia, ma non mancarono anche influenze cinesi ed indiane.
Quello che guarderemo più da vicino è lo stile neomoresco, che ha lasciato delle splendide tracce nella penisola salentina, ma che arrivò in Occidente in primis in Francia, a seguito della spedizione di Napoleone in Egitto del 1798, e si sviluppò in seguito in Inghilterra e in altri paesi europei, anche per via del colonialismo in Oriente. Tra gli elementi più distintivi dell'architettura moresca notiamo la presenza di cupole circolari, generalmente sormontate da una guglia appuntita, l'uso di colori vivaci e una quantità elevata di motivi decorativi intricati.
Uno dei più fulgidi esempi di questo stile in Salento è senza dubbio Villa Sticchi a Santa Cesarea Terme, una splendida costruzione incastonata in uno degli angoli più belli dell’ intera costa sud dell’ Adriatico, maestosa ed immediatamente riconoscibile anche da molto lontano, per ragioni funzionali oltre che estetiche: l’ imponente pagoda centrale infatti, che ne rende così inconfondibile il profilo, al tempo fu progettata anche per riflettere la luce del sole e diventare un faro per le navi in navigazione a largo delle coste. Questa residenza privata può essere considerata una vera e propria icona del territorio locale, fu terminata nell’ anno 1894 sull’ ambizioso progetto dell’ Ingegnere Giuseppe Ruggeri, che firmò molte altre residenze moresche sulle due coste salentine, tra cui quella che occupò come propria residenza a Leuca, ovvero villa La Meridiana, a pianta ottagonale ed anch’ essa dall’ esterno inconfondibile per via delle sue vivaci fasce parallele rosse e gialle.
Un altro caso molto interessante è quello delle “Ville eclettiche delle Cenate”, che prendono il loro nome dalla località in cui sono state costruite, le Cenate appunto. Queste ville signorili furono progettate e costruite tra la fine del secolo XIX e l’inizio del successivo, in pieno “periodo eclettista” e le possiamo ammirare sulle strade che da Nardò conducono alle marine di Santa Maria al Bagno e Santa Caterina. Camminando o pedalando in bicicletta per queste strade di campagna all’improvviso, in mezzo ai caratteristici olivi, appaiono queste preziose ville barocche, in stile liberty oppure anche qui in stile neomoresco, come nel caso delle bellissime Villa Saetta (ora De Michele) e Villa Cristina dei Personè (ora De Benedittis).
Questa voglia di sperimentare ed arricchire il paesaggio locale con motivi e forme esotiche non si limitò alla costa ma prese piede anche presso la città di Lecce, solo che mentre per le residenze estive ci si poteva sbizzarrire molto nelle decorazioni, soprattutto con i colori, in città l’eclettismo assumeva toni meno pronunciati. A Lecce comunque si trovano alcuni esemplari di ville ottocentesche frutto dell’ eclettismo architettonico del periodo, quasi tutte lungo i viali creati a fine Ottocento al posto delle mura cinquecentesche appena demolite. Interessante per la varietà dei caratteri architettonici è Villa Bray, in stile neomoresco, con una scritta in caratteri arabi sotto il cornicione, decorata con fasce gialle e rosse orizzontali: al primo piano le finestre hanno archi a ferro di cavallo, al secondo gli archi sono bizantini, sulla cancellata a sesto acuto. Anche Villa Indraccolo presenta decorazioni di gusto orientale. Un altro esempio di eclettismo declinato secondo il gusto locale è Villa Himera, i cui fregi sono intagliati nella pietra leccese.
Le sentinelle del Salento: la storia delle torri costiere
La costa del Salento offre sempre uno spettacolo panoramico notevole, che la si percorra salendo, verso il Nord della regione dalla parte orientale o verso la città di Taranto dalla parte ionica occidentale, oppure che la si discenda verso il Capo di Leuca, la bellezza degli scorci è sempre meritevole ed è difficile resistere alla voglia di sostare per godersi la vista del mare, le albe dorate o i tramonti infuocati.
Chi ha famigliarità con questi splendidi paesaggi avrà notato che vi sono spesso delle torrette in pietra, oppure i resti di queste, a puntellare questi scorci, come se fossero state messe lì per ragioni estetiche, quasi per fare da contrappunto verticale sulla terraferma all’ orizzonte fisso del mare. Rappresentano quasi delle pietre miliari nell’ economia del paesaggio, costituiscono anche un patrimonio affettivo per la popolazione locale che vi associa le Marine circostanti, tanto che alcune di queste torrette nel tempo sono diventate parte della toponomastica salentina, anche se ufficialmente come “località”, spesso queste torrette indicano dei luoghi a sé, per un abitante della zona recarsi a Porto Miggiano è diverso che recarsi a Santa Cesarea Terme, nonostante Porto Miggiano sia appunto una “località” del Comune di Santa Cesarea Terme.
Ma cosa sappiamo di queste torri? Quando furono costruite e per quale motivo? È interessante rispondere a queste domande perché le risposte ci raccontano molto della storia del Salento e più in generale di tutto il Sud Italia. La costruzione di torri costiere ha una ragione essenzialmente militare, sono sempre state in primis degli avamposti di avvistamento e difesa dalle incursioni di eserciti nemici o “pirati”, quelle di cui restano tracce sul territorio o nei documenti storici risalgono tutte all’ epoca medievale, anche se è probabile che ne fossero state costruite alcune anche in epoche precedenti, di queste però non è rimasta alcuna traccia, quelle che restano visibili ai nostri giorni risalgono o agli anni del XI secolo oppure, nella maggior parte dei casi, agli anni tra il XVI ed il XVII secolo, gli anni in cui su tutto il Sud Italia regnava Don Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga in qualità di Vicerè del Regno di Napoli, per conto di Carlo V d’ Asburgo.
Le prime torri costiere nel Sud Italia furono costruite dunque nel XI secolo per difendere i territori dalle scorribande piratesche, ma a causa dei continui cambiamenti politici che non consentivano mai un’ amministrazione stabile del territorio, un vero e proprio sistema di difesa integrato e funzionante su tutta la costa non fu mai terminato e le poche torri costruite finirono per diventare proprietà delle famiglie locali, che le usavano per difendere e sorvegliare esclusivamente i loro possedimenti. Le cose cambiarono a metà del XV secolo, quando le scorribande sul territorio italiano dei pirati e soprattutto degli invasori ottomani divennero sempre più frequenti, risale infatti all’ anno 1480 la presa di Otranto da parte degli invasori ottomani, che nel raggiungere la cittadina salentina non trovarono praticamente nessuna resistenza, soprattutto poterono sbarcare sul territorio salentino senza venire avvistati e dunque senza che nessuno avvertisse i cittadini di Otranto.
Proprio in seguito al tragico evento, Don Pedro de Toledo, diventato Vicerè del Regno di Napoli nel 1532, decise di implementare e far funzionare il sistema delle torrette di controllo, che dovevano essere abbastanza da poter sorvegliare tutta la costa del Sud Italia e poiché il principale pericolo era il sempre più potente Impero Ottomano e dunque proveniva da Est, fu proprio il Salento, per la sua posizione geografica esposta, ad essere al centro di questo sistema di sorveglianza. Questo tipo d’ impresa, ovvero la costruzione di oltre 300 torri costiere, per i canoni del tempo non fu affatto banale, anche per una questione di costi, perciò spesso le torri vennero costruite con un sistema di “appalto” piuttosto innovativo per il tempo, ovvero la costruzione era affidata ad un privato che in cambio dell’ opera poteva fregiarsi del titolo militare di “Capitano di torre”. Non mancarono gli imprevisti, ad esempio in alcuni casi questi privati, nonostante l’ indicazione precisa del Vicerè di utilizzare acqua dolce per la lavorazione e la posa dei materiali, utilizzavano l’ acqua salata del mare per risparmiare sui costi, ma le torri costruite con l’ acqua salata soffrivano l’ erosione e crollavano in pochissimo tempo. Nonostante tali imprevisti il lavoro fu lentamente portato a termine ed il Regno di Napoli soffrì l’ avanzata ottomana con sempre meno danni, finché la decisiva battaglia di Lepanto del 1571 non scongiurò per sempre il pericolo ottomano per le nostre coste.
Il Parco naturale regionale di Porto Selvaggio
A dieci chilometri di distanza dal Comune Nardò ed a poco meno di venti dal Comune di Gallipoli c’ è una tappa obbligatoria per chi si trova a visitare il Salento: un’ oasi naturale che comprende la cala di Porto Selvaggio, la Palude del Capitano e la Torre dall’ Alto, un'area naturale protetta per legge regionale dal 2006 ed inserita nel 2007 nell'elenco dei "100 luoghi da salvare" del Fondo Ambiente Italiano (FAI).
Un appuntamento obbligatorio dicevamo, per gli amanti delle località balneari, dello sport e della natura in generale. Vi si arriva guidando pochi minuti dal Comune di Nardò e dopo aver parcheggiato in una delle soste adibite, si percorrono poche centinaia di metri a piedi e ci si trova di fronte ad uno spettacolo naturale da stropicciarsi gli occhi, una lunga discesa immersa nella natura conduce infatti ad una piccola spiaggia di ghiaia e ciottoli con un mare cristallino, le cui acque sono particolarmente rinfrescanti e tonificanti, anche per via di una corrente di acqua dolce e fredda che arriva direttamente nella baia. La spiaggia è circondata da una larga pineta, i cui alberi furono piantati negli anni ‘50 per bonificare il terreno circostante in larga parte paludoso.
All’ interno di questo parco naturale, che non si limita all’ area della spiaggia, ma comprende oltre quattrocento ettari di terreno, di cui oltre duecentosessanta di pineta, ci sono vari itinerari e diverse possibilità di rilassarsi o fare sport; vi sono infatti le scogliere circostanti, un po’ più impervie della “zona pineta”, ma che comunque consentono la balneazione, vi sono poi anche i numerosi sentieri all’ interno della pineta, fruibili per passeggiate o picnic e che sono anche un appuntamento imperdibile per gli amanti del trekking e della mountain bike. A proposito di trekking, tra gli scorci più notevoli del parco, tornando verso Gallipoli, potrete risalire lungo la pineta ed ammirare la Torre di Santa Maria dall’Alto, un’antica torre d’avvistamento, posta a 50 metri sul livello del mare, su uno sperone roccioso a strapiombo sulla spiaggia, da cui si gode di una vista mozzafiato sull’intero parco naturale. La torre venne eretta nella seconda metà del XVI e faceva parte di un elaborato sistema di torrette difensive dislocate su tutta la costa salentina, comunicava verso Nord con Torre Uluzzo e verso Sud con Torre Santa Caterina. Questo sistema di torrette rappresenta un patrimonio storico del territorio salentino, ma in un certo senso è anche un patrimonio affettivo per la popolazione locale, in quanto ognuna di queste torrette scandisce il paesaggio della costa salentina in maniera unica, ne parleremo in maniera più approfondita con un altro articolo su questo blog.
A proposito di storia, il Parco Naturale di Porto Selvaggio, oltre al tesoro paesaggistico ed alle possibilità di attività sportive di vario genere, offre anche opportunità imperdibili per gli appassionati di archeologia: all’interno del parco sono stati individuati otto diversi siti archeologici in grotta, segno di presenze prima da parte di gruppi di Neandertal e successivamente di Sapiens, ed il territorio del Comune di Nardò è il centro di uno straordinario “distretto della preistoria” , con una stratificazione storica che va dalle frequentazioni neandertaliane e sapiens a quelle lasciate da Messapi e poi in seguito dai Romani, fino all’ architettura barocca del Centro storico dello stesso Comune. Il Museo della Preistoria di Nardò, situato nell’ex convento di Sant’Antonio da Padova, conserva gran parte dei reperti provenienti dalle ricerche archeologiche condotte nella zona.
Questa meravigliosa oasi naturale è situata sul lato della costa salentina che si affaccia verso occidente e dunque chi vi si trova all’ ora del tramonto vedrà il sole affondare lentamente nel mare, vi consigliamo dunque di concludere la vostra giornata a Porto Selvaggio con un aperitivo in uno dei numerosi bar o chioschi tra l’ oasi naturale e Gallipoli, concluderete così una giornata di mare semplicemente perfetta.
La Pietra leccese
“A Lecce anche le abitazioni più povere sono di gusto. In nessun’altra città ho visto tante porte, finestre, logge, pilastri, balaustre tutte di pietra. La pietra qui si lavora con facilità.”
(George Berkeley)
George Berkeley, celebre teologo e filosofo considerato, assieme a John Locke e David Hume, il padre dell’ empirismo, scrisse delle splendide parole sulla Puglia ed in particolare su Lecce che egli, nel suo “Diario di viaggio in Italia” (1717), definì senza mezzi termini “la città più bella d’ Italia”. Il filosofo ne apprezzò le architetture di chiese, conventi e palazzi nobiliari, come anche il paesaggio circostante ed inoltre espresse lodi convinte sul popolo che abitava la città, di cui scrisse “persone civili ed educate, sembra che abbiano ereditato l’amabilità degli antichi greci che in passato hanno abitato queste parti dell’Italia”, ma come mostra la citazione in apertura di questo articolo, al suo sguardo da empirista sensibile non sfuggì che parte della bellezza delle architetture locali, al di là della maestria degli artigiani che le costruivano, era dovuta anche alla qualità della pietra impiegata nella costruzione, la famosa “pietra leccese”.
La pietra leccese, chiamata in dialetto “leccisu”, è di origine calcarea, fa parte del gruppo delle calcareniti marnose e la sua formazione è stata individuata dai tecnici nel Periodo Miocenico, ovvero circa 20 milioni di anni fa. Tra le sue proprietà c’è la presenza, nella formazione stessa, di frammenti di conchiglie, piccoli fossili che ne arricchiscono geologicamente la struttura, ma anche di argille, quarzi e minerali che la fortificano e la rendono ancora più unica. È di colore giallo paglierino, ma le particolarità della sua composizione la arricchiscono di infinite sfumature che la rendono ancora più intrigante e spettacolare.
Oltre a caratterizzarla a livello visivo, la natura stessa della pietra la rende assai sensibile all'azione degli agenti atmosferici naturali, quali l'umidità o la stagnazione di acqua ed anche agli agenti di origine umana quali lo smog. Per renderla più resistente, i maestri scultori dell'epoca barocca usavano trattare la roccia con del latte, il lattosio infatti, penetrando all'interno della pietra grazie alla porosità di questa, la dotava di uno strato protettivo impermeabile, senza alterarne le qualità estetiche. Questo trattamento ne rendeva anche più semplice la lavorazione. Oggi il trattamento a base di lattosio non è del tutto scomparso, ma è affiancato da altri trattamenti più tecnologici e moderni. Va detto che l’ usura del tempo a volte arricchisce la pietra leccese, aggiungendo alla sua bellezza naturale una ulteriore gamma cromatica molto affascinante e calda, con colori che vanno dal beige all’ambrato e perfino, in certi casi, a profonde sfumature rosate. La facilità di lavorazione della pietra leccese, nota da tempo come evidenzia sempre la citazione con cui si apre questo articolo, è una caratteristica che ha sicuramente contribuito al successo locale ed in seguito mondiale di questo materiale pregiato.
La pietra leccese viene estratta per lo più nelle cave a cielo aperto presenti soprattutto nei comuni di Lecce, Corigliano, Melpignano, Cursi e Maglie, a una profondità che può arrivare fino a 50 metri; la durezza della pietra varia a seconda della profondità del punto di estrazione e mentre quella estratta a livelli più superficiali viene utilizzata soprattutto per realizzare sculture e decorazioni, dai banchi profondi, più duri, si estrae il materiale da impiegare nell'edilizia, per farne piani di calpestio e viene utilizzata anche come pietra refrattaria per i caminetti.
La pietra leccese fa parte dell’ anima del Barocco Leccese, lo stile architettonico nato nel capoluogo salentino tra la fine del XVI secolo e la prima metà del XVIII secolo, riconoscibile per le sue splendide decorazioni che caratterizzano i rivestimenti degli edifici. Lo stile, influenzato dal plateresco spagnolo, deve la propria nascita all'opera di architetti locali come Giuseppe Zimbalo (1617-1710) e Giuseppe Cino (1644-1722). I frutti di questo stile peculiare da conoscere assolutamente sono il Palazzo dei Celestini, la chiesa di Santa Croce, la Chiesa di Santa Chiara, la Chiesa di Santa Irene e il Duomo, ne riparleremo più approfonditamente su questo blog. La pietra leccese ha conosciuto una grande fortuna durante l’epoca barocca, ma essa veniva apprezzata già in epoca classica e pre-classica.
Fra gli scultori che hanno usato ed usano tutt’ oggi la pietra leccese, segnaliamo il lavoro di Stefano Garrisi, Renzo Buttazzo, Antonio Margarito ed Andrea Serra.