Le Fontane del Salento: scoprire la storia attraverso l'acqua

Le fontane hanno una storia millenaria, che affonda le radici nelle prime civiltà umane. Originariamente, erano semplici strutture destinate a fornire acqua potabile alle comunità, ma nel corso dei secoli si sono evolute in elementi architettonici e artistici di grande rilevanza.

Le prime fontane documentate risalgono alle civiltà mesopotamiche e dell'antico Egitto. Queste culture svilupparono tecniche per incanalare l'acqua dai fiumi e dalle sorgenti naturali verso le città. In Egitto, i giardini reali erano spesso adornati con fontane semplici, alimentate da canali che portavano l'acqua del Nilo. Nell'antica Mesopotamia, le fontane erano parte integrante dei giardini e delle corti dei palazzi.

Nell'antica Grecia e a Roma, le fontane erano comuni negli spazi pubblici e privati. Le fontane romane, in particolare, erano alimentate da complessi sistemi di acquedotti che portavano l'acqua dalle sorgenti montane alle città. Le fontane di Roma erano spesso monumentali, come quella nel Foro Romano, e servivano sia per fornire acqua potabile sia come elementi decorativi.

Durante il Medioevo, le fontane continuarono a essere una caratteristica comune delle città europee, spesso situate nei cortili dei monasteri e nelle piazze centrali delle città. In questo periodo, molte fontane avevano una funzione principalmente pratica, come la distribuzione dell'acqua potabile o l'irrigazione dei campi. Tuttavia, in alcune città, le fontane iniziarono a diventare anche simboli di potere e prestigio, con decorazioni elaborate e sculture religiose.

Nel Rinascimento, le fontane tornarono a essere elementi di grande valore artistico. L'Italia, in particolare, vide la costruzione di numerose fontane che combinavano ingegneria idraulica avanzata e arte. Le fontane rinascimentali, come quelle progettate da Gian Lorenzo Bernini a Roma, erano spesso adornate con sculture complesse che celebravano divinità mitologiche, figure storiche e simboli di potere.

Durante il periodo barocco, le fontane divennero ancor più teatrali e scenografiche. Le grandi fontane barocche erano spesso caratterizzate da getti d'acqua alti e complessi giochi d'acqua. Esempi emblematici di questo periodo includono la Fontana del Tritone a Roma e le fontane di Versailles in Francia.

Con l'avvento dell'era industriale, le fontane continuarono a evolversi, diventando simboli di progresso tecnologico. Le fontane moderne utilizzano spesso sistemi di pompaggio avanzati e illuminazione per creare spettacoli d'acqua che attraggono i visitatori. Oggi, le fontane sono presenti in quasi tutte le città del mondo, dalle piccole piazze ai grandi parchi urbani.

In molte culture, le fontane continuano a essere simboli di abbondanza, purezza e bellezza, e rimangono elementi centrali in molte piazze pubbliche e giardini privati.

 

Le fontane nel Salento

Le fontane nel Salento, pur non essendo numerose come in altre regioni italiane, rappresentano elementi significativi del patrimonio culturale e artistico locale, spesso legati a funzioni pratiche e simboliche.

A tal riguardo Lecce è oggetto di un detto di origine borbonica, ed è chiamata “La città senza fontane”, che riflette l'ironia e il paradosso legato a un luogo famoso per la sua architettura barocca e le sue numerose fontane decorative, ma con scarse risorse idriche. Nonostante la presenza di numerose fontane, in passato queste non erano sempre funzionanti o non avevano una fonte d'acqua abbondante che le alimentasse.

A tal proposito è necessario menzionare il leggendario fiume Idume, un corso d'acqua che scorre prevalentemente sotto terra, attraversando la citta di Lecce, ed emergendo in superficie solo in pochi punti specifici. La sua sorgente si trova nei pressi della città di Surbo, a nord di Lecce, e il fiume continua il suo percorso fino a sfociare nel mare Adriatico. Storicamente, l'Idume forniva acqua potabile e veniva utilizzato per irrigare i campi. Tuttavia, a causa della sua natura sotterranea e del carattere carsico del territorio, il fiume è sempre stato difficile da gestire e controllare. Con l'espansione urbana di Lecce e i cambiamenti ambientali, gran parte del suo corso è stato coperto, e oggi l'Idume è principalmente nascosto sotto la città. Inoltre, la presenza del fiume sotterraneo potrebbe essere una delle ragioni principali dietro il detto "Lecce, fontane senza acqua". Le fontane della città, sebbene artisticamente ricche, avevano spesso problemi di approvvigionamento idrico a causa della difficoltà di accedere alle risorse d'acqua del fiume Idume, nascosto sotto la superficie.

Le fonti storiche testimoniano che la più antica fontana di Lecce risale al 1498, seguita poi da un’altra fontana alla fine del ‘500, collocata nell’attuale Piazza Sant’Oronzo, tra la chiesa di Santa Maria delle Grazie e l’anfiteatro romano. Il manufatto era costituito da una vasca in pietra emisferica, sorretta da ninfe, e al centro si innalzava lo stemma civico della città (una lupa incedente e un albero di leccio coronato da cinque torri). Dal centro del leccio zampillava l’acqua che ricadeva nella vasca sottostante, e da questa in due bacini ottagonali concentrici situati alla base, che si elevava di poco sul livello della piazza. L’approvvigionamento dell’acqua avveniva tramite un grande pozzo e una macchina idraulica con tubazione in pietra, funzionanti grazie alla forza animale, che nel 1678 andarono ad alimentare anche la nuova fontana del noto architetto Giuseppe Zimbalo, che andò a sostituire la precedente. Il nuovo monumento fu dedicato al re dell’epoca, Carlo II, rappresentato da una statua equestre, e rimase attiva sino al 1841, anno in cui venne demolita. La fontana preesistente invece non venne distrutta, ma venne collocata nel parco dei Conti Orsini del Balzo, e rimase lì sino al 1756.

Ma l’acqua c’era o non c’era? C’era e non c’era. Ogni volta che si voleva far zampillare l’acqua dalla fontana era necessario azionare la macchina idraulica del pozzo da un cavallo o da un asino per riempire il serbatoio, e quindi la fontana rimaneva vuota per gran parte dell’anno, se non in occasione di poche solenni festività.

Oggi la fontana più rappresentativa di Lecce è la Fontana dell’Armonia (detta anche fontana dei Due Amanti), eretta nel 1927, in occasione dell’arrivo dell’acquedotto in città, di fronte al castello di Carlo V. Su questa opera, costruita in pietra di Trani, si innalzano due statue in bronzo, riposte su canne d’organo di lunghezza varia: si tratta di un uomo e di una donna, privi di vestiti, che sorreggono una conchiglia da cui entrambi bevono. La volontà dello scultore era di celebrare un momento molto importante per la città di Lecce, attraverso l’allegoria dell’amore e della condivisione.

 

Spostandoci dal capoluogo, troviamo in provincia altre fontane particolari, che sono diventate elementi di riconoscimento e punti di riferimento per le comunità in cui sono situate.

La prima la troviamo a Nardò, ed è la Fontana del Toro, realizzata nel 1930. Riporta il simbolo della città: il toro che fa zampillare l’acqua. La leggenda racconta che la città sia stata fondata nel punto in cui un toro abbia fatto sgorgare l’acqua. Il toro è anche un simbolo legato agli Aragonesi spagnoli, per un periodo dominatori del sud Italia, che giunsero a Nardò in periodo rinascimentale. Si tratta di un periodo in cui l’attenzione storico-letteraria è rivolta all’età classica: viene riproposto il tema del mito, nel quale il toro ha rilevanza e frequenza. Accanto alla fontana è presente un medaglione che riprende lo stemma della città e riporta l’espressione “Tauro non Bovi”. La presenza del toro e non del bue rappresenta la forza della dominazione aragonese o forse della stessa popolazione neritina.

 

A Gallipoli, tra il centro storico e la zona nuova della città, troneggia la Fontana Greca. Inizialmente, oltre alla tradizione locale, anche alcuni critici pensavano che la fontana risalisse al III secolo a.C. Dopo altri studi, tuttavia, risultò più corretto collocare l’opera architettonica in età rinascimentale. Dalla zona delle fontanelle passò, dal 1548 fino al 1560, presso la scomparsa Chiesa di San Nicola. Poi, dal 1560, la troviamo nel posto in cui è tuttora, accanto al Ponte di Gallipoli.

Ma il dubbio sulle sue origini persiste: il gusto che creò la fontana è quello dell’arte dell’Antica Grecia, quello di un popolo che usava il mito come modo per esprimersi. Secondo questa teoria, con le invasioni dei Goti, le statue sarebbero state rimosse per poi, nel 1560, essere reinserite nella struttura. Qualunque sia la vera datazione, la Fontana Greca suscita ancora oggi grande interesse e curiosità. La fontana è composta da due facciate, alte circa 5 metri: una rivolta a Nord-Ovest e l’altra a Sud-Est.

La facciata Nord-Ovest ha funzione di sostegno e risale al 1765. Su questa si staglia lo stemma di Gallipoli stessa, caratterizzato dall’immagine di un gallo con una corona e un’epigrafe latina che recita fideliter excubat, ossia vigila fedelmente. Ben in evidenza sono anche le insegne del sovrano Carlo III Borbone.

In basso c’è l’abbeveratoio a cui si dissetavano gli animali, da cui, negli anni Cinquanta, veniva prelevata l’acqua destinata alle famiglie che non ne avevano in casa.

La facciata Sud-Est è suddivisa in tre blocchi, scanditi da quattro cariatidi che sorreggono l’architrave con un ricco decoro dell’altezza di circa 5 metri. Nei tre comparti ricavati tra le quattro cariatidi si stagliano dei bassorilievi. Essi raffigurano le metamorfosi di tre figure mitologiche. Si tratta di Dirce, Salmace e Biblide, donne trasformate in fonti.

La più spettacolare è la Cascata Monumentale di Santa Maria di Leuca. Considerata unanimemente una delle più belle d'Italia, quest'opera, dall'elevato valore ingegneristico, impreziosisce la cittadina da più di 80 anni. Costituisce il tratto finale di uno dei progetti più ambiziosi e importanti d'Italia, ovvero l'Acquedotto Pugliese, attualmente il più grande d’Europa. Fu realizzata per celebrare la buona riuscita del progetto e venne inaugurata nel 1939. Nel 1927, fu finalmente ultimato il Grande Sifone, che porta l'acqua prima a Lecce e poi nei principali comuni salentini, fino a raggiungere Santa Maria di Leuca. Tra il 1931 e il 1941, la realizzazione delle diramazioni periferiche completò la grandiosa opera, attualmente incastonata in un paesaggio incantevole, tra rocce a picco sul mare e una pineta. Un’opera imponente che vanta una lunghezza di oltre 250 metri e un dislivello di 120 metri circa, con una portata di 1.000 litri al secondo che termina direttamente nel mare. Alla sua destra e alla sua sinistra è affiancata da due lunghissime scalinate, che dal piazzale del sovrastante Santuario de Finibus Terrae, conducono alla fine della cascata, dov’è stata collocata una colonna romana, e così al porto. La cascata non permette a curiosi, turisti e spettatori di venire ammirata di continuo, ma al contrario è azionata di rado, specialmente durante il periodo estivo, sia per permettere il deflusso e lo scarico delle acque, sia per creare uno spettacolo suggestivo ed affascinante. La cascata non permette a curiosi, turisti e spettatori di venire ammirata di continuo, ma al contrario è azionata di rado, specialmente durante il periodo estivo, sia per permettere il deflusso e lo scarico delle acque, sia per creare uno spettacolo suggestivo ed affascinante.

Infine, ma non meno importanti, sono le fontanine dell’acquedotto pugliese. Ogni comune salentino ne possiede almeno una. Si tratta di piccole fontane pubbliche, tutte identiche (altezza 128 cm, base circolare 38 cm, forma conica, corredata di cappello e vaschetta di recupero delle acque, totalmente in ghisa, rubinetto a getto intermittente con meccanismo interno in ottone, ancora oggi a produzione artigianale). Parliamo del simbolo dell'Acquedotto Pugliese, la storica fontanina che tante piazze della Puglia e del meridione conoscono e che, a partire dal 1914, ha portato la prima acqua salubre pubblica in Puglia e che, ancora oggi, rappresenta l'icona indiscussa di questa epocale conquista sociale. Nel corso degli anni si moltiplicano le storie e i poemi in rima sulla fontanina, una letteratura popolare, il più delle volte in dialetto: "All'acqua, all'acqua, alla fendana nova, ci non tene la zita se la trova" (All’acqua, all’acqua, alla fontana nuova, chi non ha la fidanzata se la trova”) recita ad esempio una filastrocca anonima risalente agli anni '20, che testimonia l'affetto incondizionato che le popolazioni pugliesi riservano a questo semplice strumento di vita.

 

Le fontane del Salento, pur non essendo numerose come in altre regioni italiane, sono comunque parte integrante del paesaggio urbano e rurale. Oltre a fornire acqua, queste fontane servivano e servono come luoghi di incontro, di festa e di socializzazione, rappresentando simboli di vita e di comunità. Per i turisti, le fontane offrono un'opportunità per immergersi nella storia locale e apprezzare la bellezza architettonica della regione.

Il Salento, con la sua combinazione di elementi storici e moderni, continua a valorizzare le fontane come parte del suo patrimonio culturale, riflettendo la ricca tradizione artistica e la vitalità della sua gente.


La Via Francigena nel Salento: scopriamo gli itinerari tra storia, natura e architettura

Storicamente per Via Francigena, o meglio Vie Francigene, si intende un fascio di Vie che collegavano i territori dominati dai Franchi (le attuali Francia e Germania) a Roma in epoca medievale. Oggi si parla di Vie Francigene anche per indicare quegli itinerari culturali verso Roma, destinati al pellegrinaggio moderno e al turismo sostenibile.

Il detto “tutte le strade portano a Roma” può ironicamente dare un’idea di quante siano le Vie Francigene a livello teorico. La storia di questo cammino trae le sue origini dal Medioevo, quando i pellegrini dovevano raggiungere una delle peregrinationes majores, per arrivare a Gerusalemme, Santiago o Compostela. Il viaggio dei pellegrini, infatti, partiva dal Sud Italia per guadagnare il nord Europa o al contrario, iniziava a Roma per giungere in Puglia, dove si imbarcavano per la Terra Santa. In effetti i pellegrini nel medioevo partivano dalla propria casa e percorrevano non solo la rete ‘stradale’ dell’epoca, ma anche tutti quei sentieri e selciati che meno li esponessero al rischio di assalto o incidenti ma che nel contempo passassero per luoghi dove era possibile ricevere ospitalità e cibo.

La Via Francigena in Salento si estende lungo il tacco dello stivale per circa 120 km: un viaggio nella cultura di questo lembo di terra che vanta innumerevoli tappe imperdibili, tra le città principali come Lecce e Otranto, la città millenaria che guarda ad Oriente, ammirando affascinanti opere architettoniche, passando per borghi e campagne, dove non mancano antichissime testimonianze delle tappe di pellegrinaggio.

 

Alto Salento, le origini del percorso

Il percorso inizia dalla città, o meglio dal porto di Brindisi, e uno degli elementi simbolo sono le Due Colonne dell’Appia, arrivo per chi doveva partire per la Terra Santa, o partenza per chi doveva andare a Roma. Per lungo tempo le colonne sono state ritenute terminali della Via Appia, ma la collocazione delle colonne nel rialzo prospiciente il porto di Brindisi, e la relazione con la visuale con l'imboccatura dello stesso, dimostrano che furono innalzate con un intento celebrativo, forse a supporto di due statue bronzee.

Altra tappa obbligatoria per chi passava da Brindisi, è la Chiesa di San Giovanni al Sepolcro, antichissima, di età normanna (XI secolo), costruita su più strati di storia della città. Si tratta di una piccola rievocazione del Santo Sepolcro a Gerusalemme, con pianta circolare a indicare la circolarità della vita e della spiritualità che si eleva verso l’alto, accompagnata da cicli di affreschi e capitelli intagliati.

Continuando il cammino, a ridosso di Torchiarolo, troviamo Valesio, un’antica città prima Messapica, poi Romana, poi Bizantina, rimasta in vita sino all’anno 1000 d.C. circa come villaggio medievale, poi disabitato, letteralmente attraversato dalla via Traiana-Calabra. Si tratta di una città importantissima nell’antichità, dove devono ancora essere effettuati molti scavi, ma nella quale sono state trovate sinora moltissime monete provenienti da svariate parti del Mediterraeo, e questo ci fa capire che questo luogo era fulcro di scambi, commerci e passaggio di genti provenienti da molte località diverse, che ha ancora moltissimo da raccontare.

Nel tratto di strada che da Valesio ci conduce verso Surbo, ci imbattiamo in un bene storico-architettonico di grande pregio, che dal 2012 viene gestito in modo diretto dal FAI (Fondo Ambiente Italiano), ovvero l’Abbazia di Santa Maria a Cerrate. Risalente all'XI secolo, anche se in base agli scavi archeologici vi furono degli insediamenti precedenti, durante il XII secolo era anche centro di produzione (soprattutto di cereali), ed era abitata dai monaci bizantini che scappavano dalle persecuzioni turche a Bisanzio. La località fu un importante polo religioso e culturale. l’Abbazia viene ampliata fino a divenire uno dei più importanti centri monastici dell’Italia meridionale: nel 1531, quando passa sotto il controllo dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli, il complesso comprende, oltre alla chiesa, stalle, alloggi per i contadini, un pozzo, un mulino, due frantoi ipogei. Il saccheggio dei pirati turchi nel 1711 fa precipitare l’intero centro in uno stato di completo abbandono che prosegue nel corso del XIX secolo. Oggi, dopo un complesso intervento di restauro, l'Abbazia è nuovamente visitabile e rappresenta uno splendido esempio di architettura romanica pugliese impreziosita da importanti affreschi che ne fanno un unicum nel mondo bizantino.

Nelle campagne di Lecce, al confine con il comune di Surbo, è presente un’altra importantissima tappa della via Francigena Salentina, ovvero la Chiesa di Santa Maria d’Aurìo. Risalente al XII secolo, è la testimonianza architettonica più antica del casale medievale di Aurìo, scomparso tra il XV e il XVI secolo. La chiesa era un altro luogo che si attraversava prima di arrivare a Lecce, e oltre ad essere piena di croci, segno distintivo e caratterizzante del passaggio dei pellegrini, ha anche una serie di imbarcazioni incise sulla sua facciata, e questo è segno che i pellegrini si preparavano al viaggio per andare in terra santa e dovevano attraversare l’Adriatico. La stragrande maggioranza di questi viandanti, soprattutto quelli che venivano dal nord Europa, non aveva mai visto il mare, e l’esperienza della navigazione per loro era terrorizzante, perché capitava che a causa del mare mosso e delle tempeste le navi naufragassero e i pellegrini morissero annegati. Il disegno della nave veniva inciso quasi come un ex-voto, per assicurarsi che la chiesa proteggesse il loro viaggio. Nel caso in cui fossero riusciti ad arrivare dall’oriente in Salento, dopo aver attraversato il mare in tempesta, l’incisione diventava un ex-voto per grazia ricevuta.

 

Da Lecce verso il basso Salento

All’ingresso di Lecce ci accoglie l’ex Monastero degli Olivetani, e l’antico monastero, più che un luogo appartato, era un sito strategico, scelto nel secolo XII da Tancredi d'Altavilla, ultimo conte normanno di Lecce, per edificare un sontuoso complesso religioso, destinandolo all’Ordine dei Benedettini. L’abbazia suscitò sin dall’inizio stupore per la sua magnificenza e la chiesa, dedicata ai SS.Niccolò e Cataldo, raggiunse ”il più alto livello” tra le architetture medioevali in Terra d’Otranto. Nel 1494 sopraggiunsero gli Olivetani (Benedettini di Monte Oliveto), che sostituirono la preesistente comunità, ormai in estinzione. Mentre la chiesa fu conservata ed arricchita, il convento fu ricostruito in forme maestose.

La via Francigena attraversa Lecce, dove in pieno centro storico si trova la Chiesa di San Nicolò dei Greci. Si tratta di una chiesa salentina realizzata al di sopra di un’antica chiesetta risalente al IX secolo, della quale è ancora esistente l’antica cripta e la parte absidale. Nella cripta sono ancora presenti i dipinti antichi. La chiesetta era chiamata “Chiesa di San Giovanni del malato” e a un certo punto era stata abbandonata. Nella parte posteriore della chiesa c’è una cisterna, che raccoglieva le acque di una falda del fiume Idume, il fiume di Lecce.

Procedendo per la città fortificata di Acaya, e attraversando la campagna di Melendugno, si arriva nella zona della Grecìa Salentina, e una delle località più frequentate dai viaggiatori era quella di Carpignano Salentino, dove spicca la barocca Chiesa Parrocchiale del '500, la quale custodisce la Cripta di Santa Cristina scavata nel tufo tra l'VIII e il IX secolo. La Cripta è l’unico luogo di quest’epoca di cui si conoscono il committente e l’affrescatore, in quanto i loro nomi sono citati nelle numerose scritte in lingua greca che ricoprono le mura della cripta. Gli affreschi alle pareti, che hanno più di mille anni, si sono conservati molto bene e la cripta è l’unico caso in tutto il mediterraneo in cui abbiamo una così grande ricchezza di dati. Questo tipo di affreschi continua a ricordarci come al tempo, per chi attraversava la via francigena, il punto di riferimento principale fosse Costantinopoli, dove si parlava greco.

 

Si prosegue tra antiche masserie e una lussureggiante pineta fino ad attraversare il borgo di Cànnole, dove troviamo il Villaggio di Torcìto, che è stato inzialmente un villaggio, poi nel XII secolo è diventato una Masseria, alla quale nel corso degli anni sono state aggiunte ulteriori strutture, come la torre colombaia e la Chiesa dedicata a San Vito. La Masseria di Torcìto è circondata da una vegetazione lussureggiante, che la accompagna nei secoli, e che oggi ha dato vita al Parco Naturale di Torcìto, molto apprezzato dai cultori del trekking.

Arriviamo poi al settecentesco Santuario di Monte Vergine a Palmariggi, il quale custodisce una preziosa cripta del periodo bizantino, nel cui lato orientale si ergeva un altare contenente un affresco della Madonna a mezzo busto con in braccio il Bambino Gesù.

Segue Giurdignano con il suo "Giardino Megalitico", una zona ricchissima di dolmen e di menhir, e ricordiamo in particolare il Menhir San Paolo, altra tappa del percorso francigeno, dove all’interno dello sperone roccioso è stata scavata una cripta, probabilmente di epoca bizantina, all’interno della quale è visibile un affresco che rappresenta la taranta, un ragno velenoso che mordeva le donne, le cosiddette tarantate, di cui San Paolo è protettore.

Nel comune più piccolo di tutto il Salento, Giuggianello, sempre tra dolmen e menhir, si trova l’antichissima Masseria Quattro Macine, insediamento bizantino risalente al VII secolo, negli anni attaccato dai turchi, riedificato, utilizzato come stazione di posta, tabacchificio, masseria.

 

Ci inoltriamo successivamente nel canalone della Valle dell’Idro, e passiamo per la Grotta di Sant’Angelo, chiesa-cripta in parte distrutta, dove sono ancora evidenti, alcune tracce degli affreschi che decoravano le pareti della grotta, rappresentanti figure sacre, persone in tuniche, i visi di due donne, e santi. Nonostante gli affreschi oggi siano poco identificabili, la grotta di Sant’Angelo è indubbiamente una delle più suggestive ed interessanti di tutta la valle dell’Idro.

Ci dirigiamo poi al centro di Otranto con la splendida Cattedrale di S.Maria Annunziata, edificata sui resti di un villaggio messapico, di una domus romana e di un tempio paleocristiano, fu fondata nel 1068. È una sintesi di diversi stili architettonici comprendendo elementi bizantini, paleocristiani e romanici. Gli affreschi del XIII secolo vennero quasi tutti distrutti dall’invasione turca del 1480. Rimane intatto invece il preziosissimo pavimento a mosaico, eseguito tra il 1163 e il 1165, di grande impatto scenico per l'ampia decorazione che rappresenta scene dall'Antico Testamento, cicli cavallereschi, bestiari medievali. Le immagini, disposte lungo lo sviluppo dell'Albero della vita, ripercorrono l'esperienza umana dal peccato originale alla salvezza. Molto particolare dal punto di vista architettonico la cripta, che risale all'XI secolo ed è una miniatura della celebre Cisterna di Teodosio o della Moschea di Cordova. Possiede tre absidi semicircolari e si caratterizza per le quarantotto campate intervallate da oltre settanta tra colonne, semicolonne e pilastri. La singolarità è nella diversità degli elementi di sostegno, provenienti da edifici antichi e altomedievali, dal vario repertorio figurativo. Di grande pregio gli affreschi superstiti che abbracciano un arco cronologico dal Medioevo al Cinquecento.

Non meno importante è la Chiesa di San Pietro, sempre a Otranto, è uno degli edifici medievali del Mezzogiorno più rappresentativi della tradizione costruttiva bizantina e rimane la più alta e viva espressione dell'arte bizantina in Puglia. L'edificio sacro rappresentò, probabilmente, la prima basilica della città, eletta metropoli nel 968 e alle dirette dipendenze della sede patriarcale di Costantinopoli. La sua datazione è stata per lungo tempo oggetto di dibattito tra gli studiosi, ma dall'analisi della struttura, degli affreschi e delle iscrizioni in lingua greca, sembra riconducibile al IX-X secolo. Nelle tre absidi sul fondo si dispongono gli splendidi affreschi in stile bizantino databili al X-XI secolo

 

Oltrepassata Cocumola, dove svetta il Menhir della Croce in Via Savoia 26, si cammina tra pinete e uliveti fino a Vignacastrisi.

E’ la volta poi di Andrano, nelle cui campagne troviamo la Cripta dell’Attàrico; si ritine che dal secolo VIII al X la grotta abbia ospitato monaci basiliani, e sono ancora presenti due affreschi. Inizialmente come rifugio, e successivamente come eremo spirituale, i monaci nel frattempo si spostarono nella vicina abbazia di Santa Maria del Mito, centro di cultura e Masseria totalmente autosufficiente, situata tra il feudo di Tricase e quello di Andrano.

 

La meta finale

Il percorso della via Francigena Salentina si è quasi concluso, e a circa 1 Km da Santa Maria di Leuca, nei pressi dell’odierna Masseria Coppola, sulla SS 275, l’ultima sosta era rappresentata dall’antica Cappella dei Lazzari, ove venivano curate malattie. Costruita nel XIV sec. dai Granduchi di Toscana per i naviganti fiorentini, che frequentavano numerosi lo scalo di Leuca, purtroppo non esiste più.

L’ultima tappa, e senza dubbio la più significativa, è a Santa Maria di Leuca, presso la Basilica – Santuario S. Maria de Finibus Terrae, che affonda le sue radici ai primordi del cristianesimo. Esso sorge là dove c’era stato il tempio dedicato alla dea Minerva del quale, entrando in Chiesa, sulla destra, si conserva un cimelio: l’ara o una parte di essa, su cui venivano offerti i sacrifici alla dea. La tradizione narra che l’apostolo Pietro nel 43 d.C. sbarcò in Puglia per fare ritorno a Roma dopo il suo viaggio in Oriente. In questa occasione, il tempio fu dedicato al Salvatore e convertito in un santuario cristiano. Fu proprio qui, infatti, che San Pietro cominciò la sua opera di conversione, partendo proprio dalla popolazione salentina per poi proseguire per tutto l’Occidente. La testimonianza del passaggio dell’apostolo è la Croce Pietrina collocata di fronte al Santuario. Solo in un secondo momento fu consacrato a Santa Maria di Leuca. Proprio a causa della sua ambitissima posizione, il santuario fu purtroppo preso di mira numerose volte nel corso del tempo, in particolare dai Turchi e dai Saraceni, come attacco indiretto alla religione cristiana. Fu distrutto ben cinque volte, l’ultima delle quali nel 1720. Le numerose ricostruzioni conferirono ovviamente al Santuario un aspetto differente da quello originale, ma i fedeli vollero mantenere la struttura delle mura perimetrali.

 

Conclusioni

Il percorso che abbiamo seguito ci porta indietro nel tempo di migliaia di anni, e ci permette di comprendere e scoprire le origini più antiche delle bellezze architettoniche che costellano il percorso della via Francigena Salentina, a partire da piccoli scrigni, come le cripte, sino ad arrivare a immensi tesori, come le abbazie e le masserie.

Sono luoghi che ancora oggi fanno parte del nostro presente, e che arricchiranno il nostro futuro.


Il barocco leccese: gli uomini ed i monumenti

In un precedente articolo su questo blog abbiamo già analizzato le origini storiche del barocco leccese, elencando alcuni eventi e circostanze che ne favorirono la nascita e lo sviluppo, dalla presenza spagnola nel Regno di Napoli alla fine della minaccia portata dall’ Impero Ottomano fino al Concilio di Trento ed alla vasta disponibilità della pregiata pietra leccese; ognuna di queste circostanze ha avuto un peso significativo nello sviluppo delle architetture che hanno ridefinito il panorama della città leccese dalla metà del Cinquecento a quella del Settecento, ma accanto alle circostanze favorevoli ed agli eventi storici, il barocco leccese deve la sua fortuna anche alla visione, alla perseveranza ed all’ impegno di alcuni personaggi storici del capoluogo salentino, quali il vescovo Luigi Pappacoda o gli architetti Giuseppe Zimbalo e Giuseppe Cino.

 

Luigi Pappacoda nel Giugno del 1639 fu chiamato a reggere la diocesi di Lecce e ne rimase vescovo fino alla sua morte, avvenuta nel 1670. Tenne due sinodi diocesani nella città nel 1647 e nel 1663 e nel 1658 approvò l'elezione dei santi Oronzo, Fortunato e Giusto a patroni di Lecce, restaurandone l’ antico culto. Nel 1659 pose la prima pietra per la costruzione della nuova cattedrale e commissionò numerose altre opere all'architetto e scultore Giuseppe Zimbalo. Alla sua morte fu sepolto nel Duomo di Lecce, nel sepolcro presso l'altare di S. Oronzo.

 

Come abbiamo visto alla figura del vescovo Luigi Pappacoda è legata quella dello scultore ed architetto Giuseppe Zimbalo, detto “lo Zingarello” (il soprannome altro non è se non l'italianizzazione del termine dialettale "Zimbarieddhu" ovvero il piccolo Zimbalo, probabilmente per distinguerlo dal padre Sigismondo, anch’ egli artista della pietra) fu l' architetto più famoso e imitato del barocco leccese. Nel capoluogo salentino l' artista realizzò la facciata inferiore del Convento dei Celestini, il Duomo, la colonna di Sant' Oronzo e la Chiesa del Rosario.

 

Per quanto riguarda l’ architetto e scultore Giuseppe Cino, egli lavorò nel capoluogo salentino a partire dalla metà del Seicento, continuando la ricerca stilistica di Giuseppe Zimbalo, di cui ad esempio terminò l’ edificazione del Palazzo dei Celestini. Al Cino si devono anche la costruzione della splendida Chiesa di Santa Chiara, la Chiesa delle Alcantarine e la chiesa del Carmine, sulle quali lavorò fino alla sua morte. Progettò anche il Seminario su commissione di Antonio Pignatelli, all'epoca nuovo vescovo di Lecce.

 

La Basilica di Santa Croce, insieme all'attiguo ex Convento dei Celestini, costituisce la più elevata manifestazione del barocco leccese. Nell' area dell'attuale basilica era già stato costruito, nel XIV secolo, un monastero, ma fu solo dopo la metà del XVI secolo che si decise di trasformare l' area in una zona interamente monumentale e per avere lo spazio necessario furono requisite tutte le proprietà degli ebrei del luogo, cacciati dalla città nell’ anno 1510. I lavori per la costruzione della basilica si prolungarono per oltre due secoli e videro coinvolti i più importanti architetti leccesi del tempo. La prima fase della costruzione durò dal 1549 al 1582 e vide la costruzione della zona inferiore della facciata, mentre la cupola venne completata nel 1590. La successiva fase dei lavori, a partire dal 1606, durante la quale vennero aggiunti alla facciata i tre portali decorati, è marcata dall'impegno di Francesco Antonio Zimbalo, poi al completamento definitivo dell'opera lavorarono successivamente Cesare Penna e Giuseppe Zimbalo.

 

Molto simile è la storia del Duomo: una prima cattedrale della Diocesi di Lecce infatti venne costruita nel 1144 dal vescovo Formoso; nel 1230, per volere del vescovo Roberto Voltorico, la cattedrale venne rinnovata e ricostruita in stile romanico. Successivamente, nel 1659, il vescovo Luigi Pappacoda diede a Giuseppe Zimbalo il compito di ricostruire la chiesa in stile barocco. La costruzione finì nel 1670.  Il Campanile del Duomo venne costruito tra il 1661 e il 1682, sempre da  Giuseppe Zimbalo; venne edificato in sostituzione di quello normanno, voluto da Goffredo d' Altavilla, crollato agli inizi del Seicento, ed ha un'altezza di 70 metri; dalla sua sommità è possibile ammirare il mare Adriatico e nei giorni particolarmente limpidi anche le montagne dell' Albania.

 

Sempre nella Piazza del Duomo si affaccia il Palazzo del Seminario costruito dall’ architetto Giuseppe Cino tra il 1694 e il 1709, su commissione del vescovo Michele Pignatelli. Nell'atrio si può ammirare un pozzo decorato, sempre opera del Cino, mentre all'interno del palazzo è presente una cappella del 1696. Al primo piano del palazzo troviamo anche il "Museo diocesano" e la "Biblioteca Innocenziana", così chiamata dal nome assunto dal Papa Innocenzo XII, che era stato vescovo della città. La biblioteca contiene oltre diecimila volumi, anche di epoca quattrocentesca e cinquecentesca.

 

La Chiesa di Santa Chiara si trova nel centro storico di Lecce, in piazza Vittorio Emanuele II. La sua prima fondazione, voluta dal vescovo Tommaso Ammirato, risale al 1429; venne in seguito quasi completamente ristrutturata tra il 1687 e il 1691. La realizzazione della chiesa, rimasta priva del fastigio superiore, è anch’ essa opera dell'architetto Giuseppe Cino.

 

La Chiesa di Sant' Irene dei Teatini si trova nel centro storico di Lecce ed è intitolata a Sant' Irene da Lecce, protettrice della città fino al 1656. Fu edificata a partire dal 1591 su progetto del teatino Francesco Grimaldi e fu ultimata nel 1639, anno della consacrazione ad opera del vescovo di Brindisi. La Chiesa di Sant’ Irene è stata anche al centro di importanti vicende storiche non religiose: nel 1797 venne visitata da re Ferdinando IV di Napoli, mentre nell'ottobre del 1860 ospitò le operazioni di plebiscito per decidere il sì di Lecce ad entrare nel Regno d'Italia. Nel 1866 l'annesso Convento dei Teatini venne soppresso, ma la chiesa rimase comunque aperta al culto.

 

Vi sono ovviamente tanti esempi dello stile barocco leccese anche in altri comuni della penisola salentina, come ad esempio il Duomo di Gallipoli o la Chiesa Madre di Casarano.


Il barocco leccese: storia ed origini

Lecce

 

Biancamente dorato

è il cielo dove

sui cornicioni corrono

angeli dalle dolci mammelle,

guerrieri saraceni e asini dotti

con le ricche gorgiere.

 

Un frenetico gioco

dell'anima che ha paura

del tempo,

moltiplica figure,

si difende

da un cielo troppo chiaro.

 

Un’aria d’oro

mite e senza fretta

s’intrattiene in quel regno

d’ingranaggi inservibili fra cui

il seme della noia

schiude i suoi fiori arcignamente arguti

e come per scommessa

un carnevale di pietra

simula in mille guise l'infinito.

 

(da Dopo la luna, 1956)

 

Vittorio Bodini è stato un affermato poeta e traduttore pugliese, nacque a Bari ma trascorse la sua infanzia nel capoluogo salentino, tradusse in italiano diversi scrittori spagnoli fra cui Federico Garcia Lorca e Miguel de Cervantes. Nella sua poesia “Lecce” troviamo una splendida ed emozionante descrizione del barocco leccese e partiamo proprio da qui per parlare di questo stile architettonico che in due secoli, tra il il 1550 ed il 1730, cambiò per sempre il volto della città e la rese il gioiello che è oggi, capace di attirare visitatori ormai da tutto il mondo.

Partiamo dalle parole di un affermato traduttore di opere spagnole per una ragione precisa, il legame tra la Spagna e l’ Italia non è casuale se parliamo del barocco leccese, questo stile infatti è molto influenzato dal plateresco spagnolo, uno stile artistico, fiorito in Spagna nel XV e nel XVI secolo, caratterizzato da molti ornamenti e composto partendo dall’ imitazione dei lavori di argenteria (in spagnolo “plata”), da cui appunto proviene il nome di plateresco. Pochi decenni dopo la presenza spagnola nel Regno di Napoli contribuisce in maniera decisiva allo sdoganamento di questo gusto per i dettagli e le decorazioni e quindi alla nascita del barocco leccese. Ci sono anche altre ragioni storiche alla base di questa primavera barocca nel Tacco d’ Italia, come ad esempio l’ esito della Battaglia di Lepanto del 1571, che indebolisce notevolmente le armate dell’ Impero Ottomano, rendendo il Sud dell’ Italia meno esposto alle scorribande dei pirati ed alle invasioni del nemico. Infine la Controriforma, ovvero un’ insieme di misure di rinnovamento spirituale, teologico e liturgico con le quali la Chiesa cattolica riformò le proprie istituzioni dopo il Concilio di Trento. A seguito di questi provvedimenti furono molte le chiese riadattate a livello architettonico per essere più funzionali alle nuove liturgie post-tridentine, molti edifici di costruzione medievale furono "rinnovati", mediante abbellimenti con stucchi, marmi e decorazioni varie, che fecero assumere a queste l'aspetto di chiese barocche. Ma il barocco ebbe particolare fortuna in Salento anche grazie alla qualità della pietra locale impiegata: la pietra leccese, di cui abbiamo già parlato in questo blog, ovvero un calcare tenero e compatto dai toni caldi e dorati adatto alla lavorazione con lo scalpellino.

 

Il barocco leccese risulta subito riconoscibile anche agli spettatori meno esperti, per via delle sue sgargianti decorazioni che caratterizzano i rivestimenti degli edifici: esuberanze appunto barocche, motivi floreali, figure umane ed animali mitologici, fregi e stemmi. Tutta questa ricchezza di elementi decorativi agricoli e floreali è una metafora della "grazia di Dio" e della bellezza del creato. Tra i frutti più ricorrenti si incontrano la pigna, simbolo di fertilità e di abbondanza, la mela, simbolo della tentazione ma anche della redenzione, la melagrana, simbolo della Resurrezione, la vite, attributo del Cristo.

 

Questo nuovo stile che dapprima aveva interessato solo gli edifici sacri e nobili, si diffuse poi anche nell’ architettura civile e dunque i suoi i motivi floreali, le figure, gli animali mitologici, i fregi e gli stemmi trionfarono anche sulle facciate, sui balconi e sui portali degli edifici privati.

 

Fino ad allora Lecce era stata una città fortificata, quasi austera, raccolta attorno alla mole severa del Castello di Carlo V, ma in dopo meno di due secoli si trasformò notevolmente, diventando quel “… carnevale di pietra, che simula in mille guise l’ infinito” raccontata da Bodini nei suoi bellissimi versi. Nel prossimo articolo di questo blog vedremo di analizzare nel dettaglio ognuno degli edifici frutto di questa mirabile rivoluzione architettonica.