Le antiche Torri Colombaie del Salento: tradizione, architettura e prestigio
Le torri colombaie (o "colombai") sono strutture architettoniche storiche progettate principalmente per ospitare e allevare i colombi e i piccioni, utilizzate in molte culture in diversi periodi storici. L'uso delle torri colombaie risale all'antichità. Strutture simili sono state trovate già presso le civiltà egizia e mesopotamica. Nell'antico Egitto, i colombi erano allevati sia per la carne che per le loro doti di volo come messaggeri. Anche nell'antica Roma, i colombi erano considerati un simbolo di status sociale e venivano utilizzati per scopi simili.
Nel Medioevo europeo, le torri colombaie assunsero una grande importanza, specialmente in Francia, Italia e Inghilterra. In molte di queste nazioni, le torri colombaie erano spesso collegate a castelli, monasteri e residenze nobiliari.
Francia: Le torri colombaie erano conosciute come "pigeonniers" o "colombiers". Il possesso di una torre colombaia era regolamentato per legge ed era associato alla nobiltà. L'allevamento dei piccioni era un'attività preziosa sia per la produzione di carne, che come fertilizzante grazie al guano prodotto dai colombi.
Inghilterra: Erano conosciute come "dovecotes", ed erano anch'esse segni di prestigio. Durante il Medioevo, solo i signori feudali avevano il diritto di costruire una torre colombaia, e spesso queste strutture erano progettate con pareti spesse per proteggere i colombi da predatori come i falchi.
Italia: In Italia, le torri colombaie sono frequenti nelle regioni rurali, e si legano alla tradizione contadina e alla vita agricola.
Tipica del paesaggio rurale sin dal medioevo, la torre colombaia era pensata per allevare columbidi. Tale attività aveva soprattutto scopi alimentari, data la capacità che questi volatili hanno di riprodursi anche sei volte l’anno e la considerazione in cui una volta era tenuta la loro carne. Ma queste bestiole erano allevate anche per addestrare i falchi da presa, come confermato da Federico II nel suo ‘De ars venandi cum avibus’. I colombi servivano pure a produrre guano, eccellente per concimare i terreni e, stante una sostanza a base di azoto contenuta, per conciare le pelli. E ancora più utili si rivelavano questi animali, già dai tempi degli Egizi e dei Persiani, per la capacità che possiedono –effetto di un innato potentissimo senso di orientamento – di spiccare il volo con un breve messaggio attaccato alle zampine, di consegnarlo a distanza anche di centinaia di chilometri e di ritornare infallibilmente alla base.
Le prime torri colombaie in Salento sono state create su resti di strutture di età messapica: ne è un esempio l'Ipogeo di Torre Pinta a Otranto, che nacque come insediamento messapico per uso cimiteriale, come testimoniato dai resti di un forno dove avvenivano le cremazioni e i sacrifici e dalle numerose nicchie lungo le pareti utilizzate per ospitare le urne cinerarie; successivamente fu convertito in colombaia[1]. Durante il XVII secolo, al di sopra dell'ipogeo fu innalzata una torre[2], anche per sopperire al crollo di parte della volta: anche questa fu adibita a colombaia, il cui massimo utilizzo fu durante l'epoca borbonica quando venivano allevati piccioni viaggiatori da impiegare nella Terra d'Otranto.
Ad Ugento, in località Cupelle, caratterizzata dalla presenza di antiche cave di pietra calcarea, troviamo nei vari affioramenti rocciosi, i segni di estrazione ancora visibili, che permettono di ipotizzare che i blocchi estratti, di notevoli dimensioni, siano stati messi in opera nella vicina cinta muraria messapica. In uno di tali affioramenti è stata scavata un'ampia colombaia rupestre, probabilmente di epoca medievale o moderna cui si accede da ovest mediante un'apertura larga m. 1 ca..
La colombaia, di pianta ovale, era destinata all'allevamento intensivo dei colombi e le nicchie, che accoglievano i volatili e che traforano tutte le pareti, disposte su otto file, sono a prospetto quadrangolare, con il lato superiore leggermente voltato. Verso est, un corridoio conduce all'esterno; lungo di esso, sul lato settentrionale, si apre un altro ipogeo. E' chiamata “Grotta di Polifemo” per via della grande apertura circolare posta sul soffitto, che la fa assomigliare ad un grande occhio. Questo grande foro serviva per consentire l’ingresso ai volatili che nidificavano all’interno delle nicchie.
Monumentali torri colombaie a base circolare o quadrangolare attestano l’attività umanizzatrice che interesserà il paesaggio rurale salentino nel corso dei secoli. È intorno alle metà del Cinquecento che si costruiscono le più belle torri colombaie, nella stessa epoca in cui si registra in Terra d’Otranto il massimo sviluppo dell’economia agricola e il momento più significativo delle realizzazioni architettoniche in ambiente rurale. La loro diffusione storica sarà così massiccia che il toponimo Palumbaru identificherà intere località in diversi feudi dei borghi di Terra d’Otranto, proprio ad attestare la presenza di queste singolari costruzioni anche in aree dove ormai non ne rimane più alcuna traccia. Una presenza confermata anche dai documenti archivistici, dai quali emerge pure l’importanza dell’allevamento dei colombi, la disciplina che ne regolerà la caccia o la tutela, il ruolo che questi pregiati volatili avranno nell’economia delle nobili famiglie di Terra d’Otranto. Dell’allevamento dei colombi se ne occupò persino la regina Maria d’Enghien, che nel suo Codice dichiarava, quasi minacciosa “che nulla persona ausa occidere, o menare con balestra, oy con archi alli palumbi de palumbaro. Né pigliare dicti palumbi con riti, oy costule, excepto se fusse patruno. Et chi nde fara lo contrario cadera alla pena de uno augustale”. Concetto ripreso in toto nei Capitoli della Bagliva di Galatina (1496-1499), ma anche nei Bandi Pretori di Torchiarolo (1667) e Novoli (1716), dove si elencano le severe punizioni per chi cerca di catturare o uccidere i colombi allevati, che partivano da un minimo di 15 giorni di carcere. Tutto questo ci fa capire il grado di considerazione che aveva questo allevamento, ed il commercio che ne conseguiva. Commercio che girava nelle mani del nobile o del potente ecclesiasta proprietario terriero di turno. Soltanto nel 1789, con la caduta dei privilegi feudali ancora vigenti fin allora in Terra d’Otranto, i contadini acquisirono il diritto di uccidere i colombi che vedevano razzolare sui loro campi seminati.
L’edificazione di tali architetture è strettamente connessa ad una serie di fattori.
Valenza diplomatica: i piccioni viaggiatori permettevano ai regnanti di mantenere rapporti economici e doplomatici con tutto il bacino del mediterraneo, a partire da Venezia, sino a Castantinopoli. La posizione favorita del Salento nel Mediterraneo gli permetteva di essere un "fulcro comunicativo", e proprio per questo il numero di torri colombaie è molto alto; ne sono state censite ufficialmente circa 200.
Valenza economica: nell’allevamento dei colombi, l’uomo sfrutterà le abitudini di questi volatili costruendo edifici particolarmente favorevoli alla loro nidificazione e, al contempo pratici e funzionali nella fase del prelevamento degli esemplari più giovani. Privilegio in epoche passate della nobiltà e del clero, la carne del colombo, infatti, per le sue particolari proprietà nutrizionali, sarà fondamentale nell’alimentazione di bambini, anziani e puerpere. Il valore economico delle torri colombaie non deriva però, soltanto dalla possibilità di poter allevare migliaia di colombi e quindi dalla grande disponibilità di carne pregiata, ma anche dall’enorme quantità di columbina che si accumula all’interno delle torri stesse. Oltre ad essere un ottimo fertilizzante, troverà vasto utilizzo nella concia delle pelli.
Valenza difensiva: le grandiose dimensioni di questi monumenti architettonici e la loro collocazione molto spesso isolata e in posizione appartata rispetto al complesso edilizio della masseria, non è certo casuale. Se già l’edificio turriforme della masseria ha la funzione di scoraggiare eventuali assalitori, un secondo edificio a forma di torre, dai volumi severi, viene concepito per suggerire l’idea di una ulteriore opera di difesa del territorio e quindi dell’insediamento. Si potrebbe così giustificare anche l’imponenza di queste costruzioni, soprattutto laddove il fabbricato della masseria si presenta con volumi modesti e privo di elementi per la difesa.
Valenza simbolica: oltre ad essere parte integrante della struttura economica della masseria, la colombaia diviene vero e proprio veicolo di comunicazione di uno status sociale. È proprio sulla colombaia che il proprietario terriero comunemente colloca il suo stemma, fa incidere la data della costruzione e ne sintetizza gli scopi della realizzazione.
Isolate o poco distanti dal complesso masserizio, altre volte inglobate in giardini chiusi, sono costruite secondo parametri ben precisi di larghezza ed altezza per favorire l’accesso dei colombi e per proteggere le nicchie dagli agenti atmosferici.Le tecniche di costruzione, storicamente codificate, prevedono un’altezza di poco maggiore alla lunghezza del diametro e ancora, come spiega il Milizia: “la loro altezza non vuole essere assai grande per non difficoltare ai genitori il trasporto del cibo ai loro parti; può stare dal duplo fino al quadruplo della loro larghezza. La capacità di questa camera deve essere mediocre; se è troppo ristretta, vi si concuoce tutto nell’estate; se è troppo grande, quei volatili vi soffron freddo nell’inverno: il suo diametro può essere da 16 fino a 24 piedi”. Le colombaie sono costruite in blocchi di tufo squadrati, prive di copertura e dotate di una sola apertura, raggiungibile con una scala a pioli, ad alcuni metri dal piano di campagna per evitare l’accesso dei predatori feroci; rampe di scale (da 7 ad 8) si sviluppavano lungo le pareti interne con andamento elicoidale, sporgenti come mensole dal parapetto murario; cordoli in rilievo si collocano al di sotto dell’apertura per ostacolare la scalata di rettili; merlature, cordoli a sbalzo, cornici aggettanti, oltre che avere una funzione decorativa, fungono da "appollatoi" per i colombi in uscita ed entrata dalla torre stessa. La tipologia a pianta quadrata è probabilmente una conseguenza del terremoto del 1743: in seguito alla distruzione di buona parte del patrimonio edilizio rurale, si avvia la ricostruzione anche delle torri colombaie con forme e tecniche più semplici. Si tratta in ogni caso di una tipologia legata ad epoche più recenti.
In particolar modo le masserie, con la loro ampia volumetria, permettevano di trovare anche soluzioni alternative più economiche rispetto alla classica torre, e spesso troviamo colombai inglobati nei loro strati murari, nelle loro corti interne, o in alcuni casi inseriti nella torre della stessa masseria.
La torre colombaia più grande del Salento è quella di Carpignano Salentino: con i suoi 12 metri di altezza e 62 di circonferenza, in agro di Carpignano Salentino, in zona Cacorzu, a due passi dal santuario dedicato a Santa Maria della Grotta, del ‘500, edificato sopra una cripta intitolata a San Giovanni Battista. E’ stata realizzata sul finire del ‘400 e poteva contenere all’incirca 5000 coppie di colombi, i quali avevano la possibilità di nidificare in altrettante cellette. Alla base una piccola porta, unico accesso alla torre se si escludono le piccole finestrelle dalle quali si intravede l’ipnotico gioco circolare di cellette, sovrastata dallo stemma degli Orsini del Balzo.
Una delle torri colombaie più antiche del Salento è quella appartenente alla Masseria Celsorizzo, situata ad Acqaurica el Capo. A trenta metri dal complesso masserizio di Celsorizzo è una torre colombaia, a pianta circolare, databile al 1550, come riportato dallo stemma gentilizio dei Guarini e dall'iscrizione posta sulla porta di accesso: FABRICIUS GUARINUS / HOC FRUCTUS AUCUPANDIQUA CAUSSA / CONSTRUXIT SIBI AMICISQUE - ANNO D.NI MDL. - "Fabrizio Guarino fece costruire questa colombaia per sé e per i suoi amici per diletto di caccia. Anno 1550".
La torre colombaia è divisa esternamente in due livelli da un cordolo a superficie piatta. Un toro marcapiano cinge la torre a mezzo metro dal piano della campagna: a questa altezza nasce l’accesso all’interno della colombaia, interno realizzato con le buche per i colombi e le scalette con i gradini sporgenti dalle fiancate.
Uso attuale delle torri colombaie nel Salento
Oggi, le torri colombaie del Salento non sono più utilizzate per l'allevamento dei colombi come nel passato. Tuttavia, queste strutture hanno trovato nuovi usi, principalmente legati al turismo, alla conservazione e al recupero architettonico.
1. Recupero architettonico e conservazione
Molte torri colombaie nel Salento sono state restaurate e conservate per preservare la loro valenza storica e culturale. Grazie a fondi pubblici e privati, queste torri vengono salvaguardate come parte del patrimonio rurale della regione, evitando il rischio di abbandono o degrado.
2. Turismo e agriturismo
In alcuni casi, le torri colombaie salentine sono state riqualificate e trasformate in alloggi turistici o strutture legate all'agriturismo. In particolare, molte masserie che oggi fungono da agriturismi o bed & breakfast hanno restaurato le colombaie per offrire ai visitatori uno scorcio del passato rurale del Salento. Questi edifici, che rappresentano l'architettura tipica del luogo, vengono valorizzati come simbolo della storia e della cultura agricola salentina.
3. Usi culturali e artistici
Alcune torri colombaie sono state trasformate in spazi culturali o artistici. Ad esempio, in alcune località del Salento, torri restaurate ospitano mostre d'arte, eventi culturali o sono utilizzate come spazi espositivi per promuovere la cultura locale e le tradizioni salentine.
4. Conservazione della fauna
In alcuni casi, le torri colombaie sono state preservate anche per favorire la conservazione delle specie di uccelli che vi nidificano. Sebbene non si allevino più colombi per scopi economici, le torri possono ancora servire come habitat per uccelli selvatici, diventando così parte di progetti di conservazione della biodiversità.
Un ponte tra passato e presente
Le torri colombaie del Salento, una volta utilizzate principalmente per la produzione di carne e fertilizzanti, oggi rivivono grazie alla loro importanza storica e culturale. Queste strutture non solo testimoniano il passato agricolo della regione, ma contribuiscono anche allo sviluppo del turismo sostenibile, rafforzando il legame tra la storia rurale e il presente moderno del territorio.
Tra argilla e sogni: la ceramica salentina, radici antiche e visioni architettoniche
La ceramica salentina, una delle espressioni più autentiche e antiche dell'artigianato pugliese, rappresenta un patrimonio culturale di inestimabile valore. Questa tradizione artigianale, nata secoli fa, ha attraversato le epoche evolvendosi in forme, stili e utilizzi, mantenendo sempre un legame profondo con il territorio e l'architettura locale.
La stessa parola “ceramica” ha origine greca, da “kéramos” che significa appunto “terra da vasaio”. Per la sua grande versatilità, questo materiale è stato utilizzato nei secoli al fine di produrre oggetti diversi, realizzati dalle abili mani di artigiani esperti e pronti per essere decorati con le tecniche più diverse.
Le origini della ceramica salentina risalgono all'epoca preistorica, quando le popolazioni locali iniziarono a modellare l'argilla per creare utensili di uso quotidiano e oggetti rituali.
Tra le tradizionali produzioni di vasellame più celebrate per la loro bellezza, un posto d’onore spetta senz’altro a quella messapica, tipica del Salento tra l’ottavo e il terzo secolo avanti Cristo. I Messapi, antica popolazione di origine illirica, diedero origine a vasi (in particolare olle e trozzelle) dalle decorazioni sempre più complesse, a partire dai motivi geometrici del primo periodo fino agli influssi di matrice greca. Ben presto i vasi messapici cominciarono a essere decorati nella loro interezza, anche con motivi floreali e figurativi, per poi tornare, nel terzo periodo, a decorazioni geometriche e monocromatiche, stavolta però con chiara influenza ellenica. Si affermarono anche nuove forme vascolari come la pisside o il cratere, ma la tipica trozzella, con corpo ovoidale e le anse nastriformi dotate delle quattro caratteristiche rotelline, rimase l’espressione più vera e pura dell’arte messapica, insieme a tipologie come la pignata, usata per la cottura dei tipici piatti salentini, e le capase, per la conservazione dell’acqua.
Durante il periodo greco-romano, la produzione ceramica nella regione del Salento si arricchì di tecniche e decorazioni più sofisticate, influenzate dai contatti con le civiltà mediterranee. Questi scambi culturali contribuirono a sviluppare una tradizione ceramica caratterizzata da una grande varietà di forme e motivi decorativi.
Con l'avvento del Medioevo e poi del Rinascimento, la ceramica salentina continuò a prosperare, affermandosi come un'arte raffinata. Le botteghe artigiane si moltiplicarono nelle principali città del Salento, come Lecce, Grottaglie e Cutrofiano, dove gli artigiani sperimentavano nuovi smalti e tecniche decorative. Durante il Barocco, la ceramica salentina raggiunse l'apice della sua espressione artistica, grazie alla ricchezza dei motivi floreali e delle figure mitologiche.
Nel corso dei secoli, la ceramica salentina ha subito una continua evoluzione, adattandosi alle nuove esigenze estetiche e funzionali. La produzione si è estesa dalla creazione di oggetti di uso quotidiano, come piatti, vasi e tegami, alla realizzazione di elementi decorativi per l'architettura, come maioliche e rosoni. La contaminazione con altre tradizioni ceramiche italiane ed europee ha arricchito il repertorio stilistico salentino, portando alla creazione di pezzi unici che combinano tradizione e innovazione.
Oggi, la ceramica salentina mantiene vive le tecniche artigianali tradizionali, ma allo stesso tempo abbraccia le nuove tecnologie e tendenze del design contemporaneo. Le botteghe artigiane, molte delle quali a conduzione familiare, continuano a produrre ceramiche secondo antichi metodi, ma con un occhio attento alle esigenze del mercato moderno.
Nell'uso attuale, la ceramica salentina trova applicazione in diversi contesti, sia come elemento funzionale che decorativo. Gli oggetti in ceramica sono apprezzati per la loro bellezza e per la capacità di raccontare la storia e la cultura del Salento. Oltre ai tradizionali oggetti da cucina, la ceramica salentina viene utilizzata per la realizzazione di complementi d'arredo, come lampade, tavoli e piastrelle, che aggiungono un tocco di eleganza e autenticità agli ambienti.
L'artigianato ceramico è anche un importante settore economico per la regione, attrattivo per il turismo culturale. Le fiere e i mercati dedicati alla ceramica salentina attirano visitatori da tutto il mondo, desiderosi di scoprire e acquistare pezzi unici e fatti a mano.
Tra gli elementi più caratteristici troviamo:
Il Pumo
Il nome e le motivazioni della produzione del pumo, divenuto uno dei più distintivi della tradizione artigianale, sono da ricercarsi nella storia della Roma antica quando si celebrava il culto di Pomona, la dea dei frutti. Pumo deriva dal latino pomum che significa "frutto".
La sua forma richiama il bocciolo racchiuso tra quattro foglie di acanto, quindi la vita che nasce, rinnovandosi. E’ simbolo di prosperità e di fecondità ma anche di castità, immortalità e resurrezione. A ciò si aggiunge anche la sua funzione apotropaica, una sorta di amuleto capace di allontanare il male, la cattiva sorte. Per questi motivi, questo manufatto si diffuse in un primo momento tra le famiglie della nobiltà pugliese, che lo adoperarono come elemento d'arredo delle facciate dei palazzotti signorili e sulle ringhiere in ferro battuto, e successivamente al resto della popolazione anche contadina.
Ben si distinguevano, però, i pumi degli uni rispetto agli altri. Infatti i signori del paese erano soliti personalizzarli con simboli araldici e con un numero variabile di foglie intorno al bocciolo a testimonianza della notorietà, dell'autorevolezza e del patrimonio della famiglia di appartenenza.
La funzione del pumo non è quella di scacciare la sfortuna, la cattiva sorte, il male; esso viene prima della cattiva sorte e la tiene lontana, è la barriera impenetrabile al male. Il pumo è dunque un oggetto benaugurante, che, come vuole, la tradizione, non si acquista, ma va regalato o ricevuto in dono.
Capase o capasoni
I contadini pugliesi e i contadini del Salento usavano questi bellissimi recipienti in terracotta pugliese per diversi usi. In linea generale, si trattava di conservare liquidi. Poteva trattarsi di olio extravergine di oliva, di acqua, di vino. Il pregio di questi recipienti era quello di riuscire a mantenere inalterate le caratteristiche del liquido contenuto, soprattutto per ciò che concerne la temperatura. Il nome capasa proviene dal latino capax capacis, che significa capace. Fa riferimento, com’è intuitivo, alla capacità spesso importante di questi recipienti, ed alla loro utilità nel contenere liquidi. La capasa è nota anche come capasone, con valore accrescitivo. Nei secoli scorsi le capase più grandi si usavano al posto delle botti durante la vendemmia. Ne bastavano alcune decine di quelle molto grandi (capacità almeno 200 litri) le usavano per conservare il vino. Solitamente la bocca dei capasoni era sigillata con un tappo fatto di calce e cenere. lla base del capasone, ad una ventina di centimetri dal fondo, c’era una bocchetta di scarico alla quale si fissava una sorta di rubinetto: il suo nome era cannedda, ma talvolta poteva anche essere un tappino di sughero, chiamato invece pipulu. In tal modo, era facile procurarsi la giusta dose di vino o olio avvicinando un recipiente alla cannedda.
I capasoni non erano solamente usati per i lavori agricoli, ma anche per trasportare liquidi avanti e indietro attraverso il Mediterraneo. Furono per lungo tempo i protagonisti dei commerci sino al medio e lontano Oriente.
Le capase ed i capasoni oggi sono tornati molto di moda e c’è un ampio mercato che ruota attorno alla ricerca dei vecchi esemplari ed alla loro rivalorizzazione. Capita di vederli agli ingressi di prestigiosi resort turistici, nelle corti di tante ville signorili, presso giardini e aree esterne.
Il Gallo
Protagonista indiscusso della decorazione delle ceramiche pugliesi, lo si può ritrovare su moltissimi oggetti di uso quotidiano, la maggior parte dei quali da usare a tavola durante i pasti. La storia ha origini antichissime e straordinarie e vede nel gallo il simbolo della figura di Mercurio, divinità che rappresenta il commercio, il guadagno, l’eloquenza. Il gallo viene quindi identificato come animale sacro, il quale oltre a rappresentare Mercurio può essere ricondotto ad altre importanti simbologie. Esso infatti viene considerato quasi come animale domestico, in grado di poter allontanare dalla propria abitazione tutte le energie negative e le malignità. Ultima, ma non meno importante, caratteristica del famoso galletto pugliese è quella di essere considerato un simbolo di fertilità.
Il legame tra la ceramica salentina e l'architettura è particolarmente forte. Sin dall'epoca barocca, le maioliche e i pannelli decorativi in ceramica sono stati utilizzati per abbellire chiese, palazzi e abitazioni nobiliari. La ceramica è diventata un elemento distintivo del Barocco leccese, con i suoi colori vivaci e i motivi ornamentali che arricchiscono le facciate degli edifici.
Anche nell'architettura contemporanea, la ceramica salentina continua a svolgere un ruolo importante. Architetti e designer scelgono spesso materiali ceramici per le loro qualità estetiche e funzionali, come la resistenza e la facilità di manutenzione. Le piastrelle in ceramica vengono impiegate sia negli interni che negli esterni, creando continuità tra la tradizione e le nuove tendenze dell'architettura sostenibile.
La ceramica salentina, con le sue radici antiche e la sua continua evoluzione, rappresenta un simbolo della cultura e dell'identità del Salento. Il suo rapporto con l'architettura e l'uso attuale testimoniano la capacità di questa tradizione di rinnovarsi e adattarsi ai tempi, pur conservando la sua autenticità. Il futuro della ceramica salentina sembra luminoso, con nuove generazioni di artigiani pronte a portare avanti questa eredità con passione e creatività.
Architettura Apotropaica nel Salento: simboli e segreti di una tradizione millenaria
L'architettura apotropaica nel Salento rappresenta una tradizione affascinante e ricca di significato, che intreccia simbolismo, religiosità e cultura popolare. Questo tipo di architettura, caratterizzata da elementi progettati per proteggere le abitazioni e i luoghi di culto dagli influssi malefici, trova le sue radici in pratiche antiche e si sviluppa nel corso dei secoli, adattandosi ai cambiamenti culturali e sociali della regione.
Il termine "apotropaico" deriva dal greco "apotrépein", che significa "allontanare", e si riferisce a oggetti, simboli o architetture progettate per scacciare o tenere lontano il male. Nel Salento, come in molte altre regioni del Mediterraneo, queste pratiche sono profondamente radicate nella cultura locale e affondano le loro origini nell'antichità.
Le influenze dell'architettura apotropaica salentina sono da ricercarsi nelle antiche civiltà greca e romana, che avevano già sviluppato una serie di rituali e simboli per proteggere le proprie abitazioni dagli spiriti maligni. Col tempo, queste pratiche si sono fuse con le credenze religiose e popolari locali, dando vita a una tradizione architettonica unica.
Nel corso del Medioevo, l'architettura apotropaica salentina ha assunto una connotazione più definita, con l'introduzione di elementi decorativi e strutturali progettati specificamente per la protezione dalle forze del male.
Gli elementi principali dell'architettura apotropaica sono molteplici:
- Mascheroni e Teste di Pietra, ovvero maschere grottesche o volti scolpiti nella pietra, spesso posti sopra le porte o sugli angoli degli edifici. Si credeva che queste immagini spaventose potessero allontanare gli spiriti maligni o il "malocchio", ovvero il malaugurio derivante da uno sguardo malevolo. Uno degli esempi più caratteristici è rappresentato dalla “Loggia degli Sberleffi”, situata a Giuliano di Lecce, realizzata nel 1609 su 15 mensoloni rappresentanti diverse figure che si fanno beffa, per l’appunto, degli spiriti maligni che vorrebbero turbare la quiete domestica, allontanandoli così con le loro smorfie, linguacce e musi lunghi. Alcune delle figure hanno un aspetto che rasenta il grottesco, orecchie da folletto, guance cadenti, enormi baffi. Altre invece sono estremamente simpatiche. Sono sicuramente rappresentanti diversi instanti della vita di un uomo, da volti che spaziano dalla giovinezza alla vecchiaia, aspetto messo in risalto anche dalla mimetica e dai lineamenti del volto.
- Fate, sculture belle ed aggraziate, che affondano invece le loro origini nella tradizione orale della favola, anch’esse poste esternamente agli edifici con fine protettivo. La testimonianza più evidente è presente nella periferia di Lecce, presso la Masseria Tagliatelle, una cinquecentesca residenza nobiliare, che racchiude al suo interno il “Ninfeo delle Fate” un luogo di acqua e di ozio, nel quale le dame si riunivano per stare al fresco e passare del tempo assieme. Senza dubbio un posto magico, con tutto il suo carico di fascino secolare. È chiamato così per le sculture che troneggiano nelle dodici nicchie, sei per ogni lato. Ne sono rimaste sei: tre per ogni parete. Sei figure femminili a grandezza naturale che sembrano disegnate da Botticelli. Le statue di queste creature mitologiche, di cui una con il capo coronato di fiori, accolgono i passanti verso l’area in cui penetrava l’acqua sorgiva e le nobil donne chiacchieravano del più e del meno.
- Pinnacoli e "Pumi", dove i primi sono decorazioni a forma di cono o piramide spesso presenti sui tetti delle abitazioni (in particolar modo nelle Masserie), e i secondi, i "pumi", sono piccole sfere ornamentali tipiche della tradizione salentina. Rappresentano un bocciolo di rosa che sta per sbocciare, come voler dimostrare l'eleganza della natura, ed è per questo che oltre ad essere un originale oggetto d'arredo, ha un significato assai importante, infatti simboleggia: fortuna, abbondanza, prosperità, fertilità e novità.
- Croci e Simboli Religiosi, scolpiti o dipinti sulle pareti, sopra le porte, o integrate nelle decorazioni di facciata. Singolare è il caso delle Torri Costiere, sulle quali sesso troviamo decorazioni simboliche, come la croce di Malta o altre incisioni, destinate a proteggere gli abitanti e a scoraggiare gli attacchi da parte dei pirati saraceni. Segno della fede cristiana, servivano come protezione divina contro il male. Spesso erano collocati in punti strategici degli edifici per rafforzare la loro funzione apotropaica.
- Rosoni, ossia finestre circolari in pietra, spesso elaborate con motivi geometrici o floreali, tipiche delle chiese romaniche e gotiche, che oltre ad avere una funzione estetica e pratica per l'illuminazione interna, simbolicamente rappresentano il sole o l’occhio divino, proteggendo l’edificio da energie negative.
- Cornici scolpite, Fregi e Motivi Geometrici sono spesso presenti attorno a porte e finestre. Questi elementi non solo abbelliscono la struttura, ma erano anche intesi come barriere simboliche contro gli spiriti maligni, che si riteneva potessero essere confusi o bloccati da schemi complessi.
- Altari e Nicchie contenenti immagini sacre o statue di santi, frequentemente collocati all'interno delle case o sui muri esterni, offrono protezione spirituale e fungono da punto di preghiera per la famiglia, invocando la benedizione e la protezione divina sulla casa.
L'architettura apotropaica nel Salento sfrutta prevalentemente la pietra locale, la pietra leccese, facilmente lavorabile ma resistente, per creare questi elementi decorativi. In alcuni casi, si usano anche materiali come il ferro battuto, in particolare per croci e altri simboli posti sui tetti o ai lati delle porte.
Nonostante il passare del tempo e l'avvento della modernità, l'architettura apotropaica nel Salento conserva ancora un fascino particolare e un significato profondo per gli abitanti della regione. Molte delle antiche pratiche e simboli sono stati tramandati di generazione in generazione e continuano a essere presenti in molte abitazioni e luoghi di culto.
Negli ultimi anni, c'è stato un rinnovato interesse per queste tradizioni, grazie anche a studi archeologici e antropologici che hanno riscoperto il valore storico e culturale di questi elementi architettonici. Il turismo culturale ha contribuito a riportare alla luce queste testimonianze del passato, che vengono apprezzate non solo per il loro valore estetico, ma anche per il loro significato simbolico.
L'architettura apotropaica nel Salento, oltre a svolgere una funzione protettiva, rappresenta un modo per esprimere la propria identità culturale e religiosa. I simboli e le decorazioni apotropaiche riflettono una visione del mondo in cui il sacro e il profano si intrecciano, e dove la protezione divina è cercata attraverso la creazione di uno spazio sicuro e sacro.
Inoltre, questi elementi architettonici testimoniano la resilienza della cultura salentina, che ha saputo adattarsi ai cambiamenti senza perdere il legame con le proprie radici. L'architettura apotropaica continua a essere un elemento distintivo del paesaggio urbano e rurale del Salento, contribuendo a mantenere viva una tradizione millenaria.
L'architettura apotropaica nel Salento rappresenta un patrimonio culturale di inestimabile valore, che ci permette di comprendere meglio le credenze e le pratiche di una società profondamente radicata nella propria storia e tradizione. Attraverso l'analisi e la conservazione di questi elementi architettonici, è possibile non solo preservare un pezzo di storia locale, ma anche riflettere sulla complessa relazione tra uomo, architettura e spiritualità.