La pietra Leccese e il Carparo

Ricchezza, bellezza, solidità, tre attributi che definiscono al meglio un materiale che ha fatto, e continua a fare, la storia di un luogo. La pietra leccese, di formazione calcarea risalente a circa 21 milioni di anni fa, è una delle principali pietre che costituiscono l’architettura salentina, con una struttura, colore e compattezza uniche.

Tra le particolarità di questa pietra c’è senza dubbio il contenere, nella formazione stessa, frammenti di conchiglie, piccoli fossili che arricchiscono geologicamente la struttura, ma anche argille, quarzi che si aggiungono a una serie di minerali che la fortificano e la rendono ancora più affascinante.

Una pietra fortemente utilizzata soprattutto per via della sua ampia diffusione e per la facilità con cui può essere lavorata, in quanto affiora dal terreno in modo naturale e viene rinvenuta in tutto il territorio salentino, in immense cave profonde anche cinquanta metri.

Tra i comuni in cui è più diffusa spiccano Melpignano, Cursi, Maglie e Corigliano d’Otranto, in cui poter rinvenire pietre delle principali colorazioni che vanno dal bianco al giallo paglierino. L’estrazione sino alla metà del XX secolo avveniva totalmente a mano, sino a mutare completamente negli ultimi sessant’anni, con l’introduzione di moderni macchinari.

C’è un altro tipo di roccia che spesso viene associato, se non proprio addirittura confuso, con la pietra leccese. Parliamo del carparo, pietra calcarenitica molto diffusa nelle zone del sud Salento soprattutto, e derivante dalla cementazione di sedimenti di roccia calcarea in ambiente marino per lo più.

Gergalmente detta “tufo“,ha la capacità di assumere diversi aspetti all’esterno, ed è un materiale molto utilizzato nell’edilizia salentina, dalla consistenza tenace e lavorabile solo con scalpello e ascia. La sua resistenza, comunque, la rende un rivestimento perfetto soprattutto delle facciate esterne degli edifici, maggiormente per quelli esposti a intemperie e all’azione corrosiva della salsedine, se di fronte al mare.

 

Le Volte e la loro origine

Nell’abito delle strutture murarie la volta ha rappresentato non solo la manifestazione più alta delle capacità tecniche realizzative, ma anche e soprattutto il coronamento dell’impegno delle facoltà creative ed il punto di arrivo della ricerca primordiale del sistema più efficace per la chiusura orizzontale dello spazio. Ha costituito un sistema perfezionato con il concorso sia delle capacità operative individuali che del materiale disponibile. La tradizionale mancanza di legname necessario nella realizzazione di coperture piane e di tetti ha imposto la costruzione della volta muraria, peraltro favorita dalla presenza di maestranze dotate di notevole abilità e dalla disponibilità di una pietra particolarmente facile da lavorare e abbastanza resistente.

La costruzione della volta più semplice, la volta a botte, non era altro che la ripetizione di un’altra struttura elementare: quella dell’arco a tutto sesto, che sua volta rappresentava il punto di arrivo di esperienze plurisecolari iniziate con il superamento del sistema architravato (due piedritti e un architrave) condizionato dal peso del blocco monolitico. Con l’esperienza maturata attraverso i secoli, si comprese che il carico sull’architrave monolitico portato dalla muratura soprastante poteva essere attenuato, se non eliminato, con il posizionamento di conci a sbalzo (v. porta dei Leoni di Micene) praticato, per esempio, nelle coperture dei trulli locali (furnieddhi, pajare), senza l’uso di impalcature (detti anche “finti archi”).

L’arco a tutto sesto ebbe la sua massima espansione e diffusione nel periodo dell’impero romano e diede luogo successivamente a numerose variazioni ed applicazioni, dai ponti agli acquedotti, alle gallerie, con delle sagome via via modificate fino a comprendere nel ‘700 anche l’arco trilobato molto diffuso e tipico di Nardò. I Romani hanno talmente amato la volta a botte da non costruire nulla senza di essa, lo stesso Colosseo, gigantesca ed ineguagliabile costruzione per quei tempi avveniristica, si poggiava interamente sopra una lunga concatenazione di volte a botte che, su più piani, hanno innalzato una delle meraviglie del mondo antico. A Lecce, si può osservare, attraverso i resti dell’anfiteatro romano, come attraverso la volta si distribuissero gli ambienti, i corridoi da una zona all’altra dell’arena ed ogni settore del monumento.

Nel Salento non sono molti gli altri esempi di costruzione a volta rimasti in piedi, che risalgono a quei tempi. Nel V secolo d.C. troviamo la Chiesa di Casaranello (Casarano), le cui volte sono pur giunta decorate con dei preziosissimi mosaici bizantini, che in Italia hanno paragone solo con quelli di Ravenna.

Col passare dei secoli la volta fu utilizzata non solo per le chiese ma anche per i castelli e le residenze nobiliari dei potenti proprietari terrieri. E’ il caso della torre di Celsorizzo, ad Acquarica del Capo, al cui interno si conserva una cappella voltata a botte interamente affrescata.

Il castello di Gallipoli presenta all’interno di uno dei suoi bastioni, una delle volte più gigantesche e maestose di tutto il Salento, talmente grande da non poter essere fotografata per intero in un obiettivo.

Anche il castello di Otranto, ricostruito nel 1481, presenta un ambiente realizzato con una volta spericolata, frutto di grande perizia architettonica: anche in questo caso, per poterla apprezzare in foto, bisogna osservarne due, scattate da diversa angolazione. Un autentico capolavoro tecnico.

 

Come l’arco a tutto sesto rappresenta l’elemento originario della volta a botte, analogamente, la volta a botte rappresenta l’elemento di base di tutte le variazioni sul tema che hanno prodotto le numerose tipologie di volte in muratura.

Dall’elaborazione della volta a botte, seguono infatti la volta a padiglione e la volta a crociera.

La volta a padiglione nasce dall’unione di alcune porzioni della volta a botte, è usata in genere per stanze e saloni dato che si presta bene ad essere affrescata in maniera pressoché continua. La volta a padiglione, o con testate di padiglione, può essere ribassata e la sua superficie centrale resa orizzontale con un piano che la interseca. Questo tipo di copertura, utilizzata frequentemente perché più adatta alla decorazione con affreschi, è chiamata volta a schifo, che nel Salento hanno preso la denominazione di volta a maltrotta.

La volta a crociera, conosciuta già in età romana, appare come l’intersezione di due volte a botte uguali. Si vengono a creare nell’intradosso due spigoli semicircolari che vanno da un angolo a quello opposto. Questi spigoli possono essere percorsi da una nervatura di rinforzo detta costolone, elementi strutturali fondamentali di questa copertura e non semplici decorazioni.

I signorotti locali che nel XV secolo si ritiravano a vivere in campagna assoldavano i migliori maestri per la costruzione della loro masseria, tipologia architettonica presente in tutta la provincia leccese, che in alcuni casi rappresenta l’apice dell’utilizzo delle volte conosciute all’epoca, come ad esempio Masseria Barba ai Monti (Lecce), Masseria Barone Vecchio (Surbo), Masseria Monacelli (Squinzano), Masseria Papa (Lecce), ecc.

 

La volta a stella

Conosciuta soprattutto come volta a spigolo, è rispetto alle altre coperture a volta, piuttosto recente: non se ne attestano esemplari anteriori al XVII secolo. Questo tipo di copertura è tipico del Salento, tanto che spesso e volentieri la si identifica come volta leccese; essa ha origine dalla necessità di adattare i materiali disponibili in loco alla costruzione di edifici solidi, ampi e funzionali, ma anche esteticamente gradevoli. Per queste sue caratteristiche, la volta a stella è riscontrabile molto spesso in chiese e edifici del barocco leccese. A differenza della volta a crociera, della quale rappresenta l’evoluzione, il peso della copertura non viene scaricato sulle mura perimetrali, ma su quattro pilastri, e la volta si fa più complessa, con l’aggiunta di costoloni più evidenti, che le daranno la tipica forma di una stella stilizzata a quattro punte. Questo tipo di volta è indicata per gli ambienti di dimensioni medio piccole in quanto l’arco laterale, essendo a tutto sesto farebbe diventare la struttura troppo alta.

La Chiesa era il committente più ricco, così possiamo ammirare stupende volte, completamente affrescate, come all’interno della incomparabile Santa Caterina, a Galatina. Oppure trovate sempre più ingegnose e ad effetto, come nella chiesa Maria Santissima dell’Incoronata, ad Acquarica di Lecce.

 

La volta a squadro, l’apoteosi della volta

Mentre per la volta a spigolo i pilastri erano costituiti da un quadrato, nelle volte a squadro il pilastro d’angolo ha una forma ad “L”, questo perché i punti di scarico della v

olta, che funziona allo stesso modo della precedente, sono due per ogni pilastro. In questo caso nella calotta si evidenzierà una stella a otto punte (due punte per braccio). Per questo viene anche chiamata anche “volta a doppia stella”. Si capisce, da questo che queste volte erano destinate per ambienti di vaste dimensioni, dove i carichi erano molto maggiori della volta a spigolo. Oltre questo la “decoratività” di questa volta portata in spazi piccoli perdeva il suo effetto. Infatti la misura minima dei vani per il suo utilizzo era di almeno m.6.00 x 6.00.

 

Caratteristica curiosa che si riscontra nella chiave centrale della calotta è la “firma” del suo costruttore, di solito rappresentata da una croce (dato l’analfabetismo esistente) che per forma, dimensioni e posizionamento poteva far risalire al creatore del manufatto. Per molti, invece, rappresenta solo il segno di augurio per il termine del lavoro e di simbolo per il proprietario che era ora di offrire il “capicanale” (banchetto finale da offrire alle maestranze, ancora in uso, in molti posti, anche con altri tipi di costruzioni), e quindi di saldare i pagamenti. La protezione della costruzione, invece, era affidata ad un santino portato dal proprietario e sepolto o nelle fondazioni o alla base dell’appesa.

Poi arrivarono i palazzi signorili, come quello dei baroni Castromediano, a Cavallino, il cui visitatore che capita ad osservarne la volta della sua grande sala a galleria non può che restare sbigottito, dalla sua imponenza, altezza, e bellezza artistica! Un viaggio, quello nelle volte artistiche del Salento, che sfida ancora oggi il mondo passato e contemporaneo!

Conclusioni

Le volte popolano i borghi di questa terra soleggiata, i quartieri contadini, le umili dimore di campagna, fino ad arrivare alle chiese e ai palazzi. Da una parte l’architettura semplice, dall’altra quella monumentale, di tipo ecclesiastico e signorile. Mondi lontani, legati dalla stessa creatività che è parte fondamentale di queste pregevoli opere geometriche. Non c’è solo tecnica nella costruzione delle volte: c’è talento manuale, c’è organizzazione ed anche intelletto. Dietro a una tradizione edile che ha segnato gli insediamenti abitativi della provincia di Lecce, si celano quindi numerosi significati che, per certi versi, richiamano l’arte e l’antropologia.  Un tipico manufatto edile entra a pieno titolo nel mondo dell’arte quando la sua riproduzione nel tempo è caratterizzata dall’apporto di regole nel processo produttivo.

Regole di armonia, di misura, di intreccio e specializzazione e non di semplice ripetitività. Il meccanismo non è quello delle copie in serie, bensì di un modello di riferimento del passato, tramandato di generazione in generazione. Regole quindi che donano alla costruzione delle volte bellezza e staticità, decoro formale e durata, occupazione creativa dello spazio e un’immagine suggestiva che rimanga intatta nel tempo.

Un’arte che, però, non può essere definita d’autore: è impossibile, infatti rintracciare l’origine delle volte, risalire alla loro genesi. Non esiste il nome del primo inventore, né la sua data di nascita, perché le volte a stella sono frutto dell’esperienza di un soggetto collettivo, del popolo, di maestri che, con il passare degli anni, hanno perfezionato la tecnica, proteggendola da qualsivoglia degenerazione.

L’arte che si evolve nel tempo, migliorando, porta con sé anche le tracce dei cambiamenti dell’uomo del Salento, che ha mutato il suo rapporto con la terra, con l’ambiente circostante: da qui il legame con l’antropologia, quella scienza che si addentra nella dimensione spirituale e comportamentale dell’uomo. In epoche lontane si costruiva per diversi motivi: per ripararsi, innanzitutto, ma anche per innalzare monumenti alle divinità, per dar vita a riti e liturgie che hanno fatto la storia del Salento. Questo avviene tuttora.

Due modi, dunque, per “leggere” le volte: come bellezze da ammirare e come segni di un linguaggio da interpretare.